Gennaio 1956
Il cinema è in crisi è lo slogan del giorno dietro cui si trincerano agevolmente, da qualche tempo a questa parte, produttori, registi attori: un comodo paravento pronto a mascherare e proteggere insuccessi e banalità nati, quasi sempre, dalla speculazione ch’è madre della improvvisazione e dell’incapacità. Dato che tutto va bene nel nostro allegro Paese, questa crisi del cinema ci mancava proprio. Ma esaminiamola un po’ da vicino questa Decima Musa inferma. Anzitutto come si spiegano gli 85 film in programma, di cui 25 in lavorazione, ad appena due mesi dal 1956? È una crisi finanziaria , si dirà subito, nonostante che un tale complesso di film comporti, tra liquido e cambiali, un movimento di oltre trenta miliardi di lire. Sono i divi, preciseranno i produttori a determinarci tale crisi, tirando troppo la corda, rendendo costosissimi i film; è per colta dei troppo quattrini chiesti dagli interpreti principali, si grida dalla direzioni amministrative, che ogni pellicola è da qualche tempo un pessimo affare; è per colpa dei troppi milioni necessari per scritturare celebrità, si scrive si parla, che la barca fa acqua.
Ma allora come dobbiamo chiamarla crisi o cattiva amministrazione questo malessere del nostro cinema? Chi ha dato una mano al gioco? Chi si è lasciato trascinare? Chi, sul piano della concorrenza, si è buttato allo sperpero? Chi, in una parola, si chiede la stampa interessata ha provocato l’aumento dei prezzi?
Non è il nostro compito indagare e scoprire il pioniere, ma siamo convinti che sono i responsabili di ieri che oggi strillano e gridano: il cinema è in crisi? Cento milioni a De Sica, ottanta alla Lollobrigida, cinquantacinque alla Loren, quarantacinque a Sordi, quaranta alla Pampanini, duecento alla Hepburn, settanta al marito Ferrer è… cattiva amministrazione per un cinema così fantasioso e realista come il nostro. Ma è naturale che i conti non tornano e siamo con quel produttore che sostiene che non ci sono alternative, dobbiamo metterci d’accordo per ridurre i costi. Dobbiamo stabilire delle paghe massime e impegnarci a non superarle. La crisi è tutta qui, se crisi vogliamo chiamare lo sperpero di milioni. La verità, invece, è un’altra. Quanti di questi film, ipotecati da così alti costi, saranno degni di successo, di cassetta e di pubblico e quanti appena mediocri, commercialmente e artisticamente?
Ecco la vera crisi del cinema italiano. Assistiamo ancora formule invecchiate da tempo; ci ostiniamo a crede che il pubblico italiano sia ancora fermo ai romanzi di Carolina Invernizio; ci ripetiamo continuamente con le solite avventure erotiche. La crisi è nelle idee; il pubblico l’ha notato da tempo, il noleggio accusa questa stanchezza smontando le prime improvvisamente, contro ogni previsione e tutta la produzione cinematografica è rimasta ancorata, da due anni a questa parte, all’arte tersicora-canora-tuttofare di Gina e Sofia. La fortuna d’essere… regista non deve portare questi e, purtroppo il cinema italiano, al solito peccato di… cassetta a tutto discapito della tanto desiderata arte. Non è vero che il pubblico preferisce la semplicità e la faciloneria che solo la sculettante commediola sa offrire, altrimenti come si spiegano successi tipo Marty?
Alberto Crucillà
(tratto dal cinecorriere – testo archivio in penombra)