Opinione di Rossellini sul nuovo cinema italiano

Firenze, maggio. — Firenze in primavera è una culla di magie. E Rossellini che lo sa, con il suo fiuto di regista intuitivo ad anti-retorico, vi ha girato gli ultimi esterni del film Paisà. Un film che ancora non è stato battezzato ufficialmente all’anagrafe della programmazione. E che, per il momento, durante l’attuale periodo di lavorazione, lo si chiama in famiglia, con il tragico vezzeggiativo, di moda in questo dopoguerra, di Paisà. Poi Rossellini fra non molto lo monterà  al di là dell’oceano, nella mecca in celluloide e dollari della cinematografia mondiale, dove egli si reca alla fine del mese, chiamato a realizzare nella fucina hollywoodiana un altro film, Cristo fra i muratori, desunto dal romanzo omonimo, scritto da Di Donato: uno scrittore italo-americano. Opera letteraria che nella Repubblica Stellata ha riportato un incondizionato successo di pubblico e di critica. E Rossellini va laggiù, con il compito di girare una pellicola di soggetto italiano, conservando ad essa un pathos prettamente nostrano, affinché gli americani e il mondo abbiano un’esatta figurazione filmata della nostra gente, del nostro carattere di popolo mediterraneo, buono, intelligente, lavoratore, meravigliosamente umano nelle sue virtù come nei suoi difetti. La scelta del regista per varare un simile film non poteva essere più felice. Rossellini, con la sua sensibilità analitica, oggettiva, esegetica, imprimerà ai suoi attori quella plastica verità indispensabile affinché essi esprimano un’anima: l’anima dei personaggi che rappresentano, che è la nostra, che è l’anima di tutto il popolo italiano.

A questo proposito abbiamo avvicinato Rossellini per avere maggiori dettagli. E lui, amabilmente, ci ha informati che parte con fermo proposito di restare coerente a sé stesso, cioè alla propria concezione artistica e al proprio modo di ragionare, di sentire e di vivere. Anzi, in questi giorni, egli sta lottando con i produttori perché gli concedano come protagonista Anna Magnani, attrice di grande temperamento, corredata di doti esplicative e di stile eccezionale, ammesse e riconosciute dalla stessa stampa americana come lo attesta l’articolo di consenso scritto da Dorothy Thompson.

Parlandoci dei suoi progetti californiani, il regista di Roma città aperta ci ha precisato che egli va in America soprattutto per completare la sua preparazione professionale dal punto di vista dell’organizzazione industriale.

Rossellini è fermamente persuaso che a breve scadenza nascerà la nuova cinematografia italiana, in quanto ché la vecchia è morta e non è, quindi, il caso di parlare di rinascita o di ripresa. Al passato occorre dare onorata sepoltura e successivamente impostare la nostra cinematografia su basi totalmente nuove. Se si vuole farla vivere e prosperare è necessario che essa si liberi risolutamente dall’equivoco commerciale e dalla leggerezza artistica di cui sin qui è rimasta succube. In Italia, gli uomini atti ad affrontare con certezza di riuscita la nuova bisogna, ci sono: De Sica, Visconti, Soldati costituiscono altrettanti nominativi degni della maggiore considerazione. Occorre soltanto creare un’attrezzatura industriale seria, solida e duratura.

Rossellini a Firenze ha girato nel Giardino di Boboli, in via de’ Bardi sbriciolata dalla guerra e nella Galleria degli Uffizi: ha girato scene gentili, delicatamente umane, con attrici del teatro americano — delle quali è entusiasta per la diligenza, la disciplina e la volontà  di cui hanno dato prova — dopodiché ha rifatto le valigie ed è partito.

Nell’andarcene, mentre gli stringevamo la mano e ci congedavamo da lui, abbiamo avuto la precisa sensazione che egli, pur recandosi in America, resti egualmente fra noi, che lo spirito di Roma città aperta nasce e muore sotto questo nostro cielo italiano, dov’è nato, si è nutrito ed ha spiccato il volo la sua  genialità di regista. E perché no? Anche di poeta.

Libero Concetto
(La Cinematografia Italiana, 11 Maggio 1946 – testo archivio in penombra)

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