Alla moglie Lidia — per il marito e per gli amici meglio nota come « la Cicci », — alla sua tenacia, al suo nome (Rossano, un nome fatale, indiscutibilmente forgiato per un « bello ») Brazzi deve gran parte dei suoi successi artistici e della sua notorietà.
Fino a pochi anni fa Brazzi adoperava una carta di lettere con il simbolo « Frangar, non flectar », mi spezzo ma non mi piego; ma, in realtà, il biglietto da visita che meglio raffiguri la sua personalità e la sua vita dovrebbe essere così redatto: Rossano Brazzi, faccia tosta.
Comunque, se di fronte alle prime delusioni; alle decine di porte che gli sono state chiuse sul viso; alle offese e ai rifiuti, si fosse avvilito, demoralizzato, prostrato ed avesse desistito dai suoi propositi, oggi, forse, sarebbe un integerrimo ma oscuro ragioniere alle dipendenze dello Stato; sarebbe, tutt’al più il : Comm. Rag. Rossano Brazzi, funzionario della Corte dei Conti. E il sogno di suo padre si sarebbe avverato.
Rossano Brazzi è nato a Bologna il 18 settembre 1916, ma non aveva ancora due anni quando la sua famiglia si trasferì a Firenze dove Rossano imparò a camminare, a dire « papà » e « mamma » e a mettere i primi dentini. Il padre era un industriale abbastanza soddisfatto del suo rampollo, un ragazzo sufficientemente rispettoso, riflessivo, vivace e studioso. Pertanto lo avviò agli studi di ragioneria. Ma a sedici anni il giovane Brazzi fu invaso dal fuoco dell’arte e cominciò a trascurare le equazioni.
Brazzi senior, convinto che si tratti di una delle tante cotte giovanili, lo lascia fare: prima o poi, suo figlio — ne è certo — tornerà con entusiasmo alla partita doppia.
Rossano, invece, ostinato, si fa strada nella Compagnia di prosa del Guf ed è già fiero delle prime ammiratrici minorenni. Un giorno, mentre viaggia, in uno scompartimento di terza classe, diretto con gli altri attori a Colle Val d’Elsa per una recita, ode distintamente una ragazza della comitiva che, con aria di superiorità, per non dire di disprezzo, parlando con un’amica dice: « Brazzi dovrebbe darsi meno arie! ». La ragazza così spietatamente franca nei suoi confronti era Lidia, cioè « la Cicci ». Rossano fece finta di non aver udito nulla ma si mise in testa di conquistarla e di farla ricredere al più presto. Infatti durante il viaggio di ritorno, dopo l’applaudita rappresentazione, Lidia si lasciò corteggiare dal « giovane che si dava tane arie »; la settimana seguente i due si giuravano eterno amore e due anni dopo, con cinquanta lire in tasca, un grande coraggio e una forte dose di sfacciataggine e ostentando una forzata disinvoltura, si presentarono al regista Gennaro Righelli. Brazzi si mostrò sicuro di se stesso e soprattutto della sua fotogenia. « Mi faccia un provino », chiese spavaldo.
Dopo averlo visto in proiezione, Righelli, mise paternamente una mano sulla spalla del giovane bello e vigoroso e disse: « Ritorna pure a Firenze e lavora senza metterti troppi grilli in testa. Il cinema non è per te ».
Ma, « frangar, non flectar », Rossano e Lidia non intendevano mollare; e decisero pertanto di rimanere sulla piazza tenendosi sempre a pochi passi di distanza dagli uffici delle Case cinematografiche. Essi andarono, quindi, ad ingrossare le file degli artisti veri o presunti tali, degli aspiranti-divi, dei generici, dei caratteristici, degli attori di prosa decaduti o appassiti; i due entrarono a far parte del mondo dei guitti che attendevano per mesi e mesi una scrittura, sostenendosi con due cappuccini e tre brioches al giorno. In quello squallido ambiente, in quella atmosfera di esasperante attesa, Rossano trovò ancora la salvezza: la Gramatica. Riesce a partire infatti, per Rodi (dove la compagnia della grande attrice deve tenere un corso di recite), scritturato come generico allo stipendio di 18 lire giornaliere. Oltre al cappuccino, lui e Lidia potranno concedersi ora anche una bistecca.
Da Rodi Rossano torna a Roma promosso al grado di « amoroso »; crede di essere ormai maturo per lo schermo e ha già deciso di bussare alla porta di qualche produttore quando Righelli, proprio lui, un giorno, gli telefona: « C’è una buona occasione. Una particina, ma si tratta di un ruolo abbastanza significativo ». Rossano, fuori da sé dalla gioia: « Corro subito, commendatore » risponde; ma il regista raffredda di colpo l’entusiasmo del giovane « amoroso ». « Non si tratta di te, ma di Lidia. È una parte che mi sembra confezionata per lei… ». Lidia non vuole andare. Rossano, nonostante lo smacco subito, cerca di convincerla. Hanno assolutamente bisogno di cento, cinquanta, dieci lire. Appena giunti a Cinecittà, truccatori, parrucchieri e costumisti si impadroniscono di Lidia e la trasformano in una venditrice di dischi. Si sta girando il film La voce senza volto.
Le luci sono pronte, Righelli dà gli ultimi ordini dietro ma la macchina da presa, quando Lidia si lascia prendere da una crisi di pianto si mette a singhiozzare disperatamente. Non vuole lavorare, lei non c’entra; è Rossano che deve fare l’attore. Vuole andare a casa.
Righelli la convince promettendo una particina al marito per il film Destino in tasca. Durante il provino per questo film, Rossano « ce la mette tutta » come se si trattasse di interpretare Shakespeare. Poi va a vedersi in proiezione: è orribile. Righelli gli conferma: « Il cinema non è per te; nel teatro, invece, puoi sfondare ».
Si distingue allora nella parte di Giannetto (Cena delle beffe) nella compagnia di Annibale Ninchi; più tardi si fa notare come un buon Bruto nel Cesare di Forzano, e continua a sperare sostenuto e incitato da quel diavolo di Lidia che col suo « toscano » travolgente riesce sempre a rialzare il morale depresso del suo « bello ».
Brazzi continua a girare l’Italia con le più disparate compagnie di prosa, ma, ogni qualvolta ritorna a Roma, ribussa alle porte del cinema che però non vogliono aprirsi.
Renato Simoni lo nota, lo sceglie come protagonista de L’Aminta. La compagnia prova a Firenze in una situazione tragicomica. Sorpresi da un temprale, Carlo Ninchi è costretto a recitare con l’ombrello aperto e Brazzi, ferito ad un ginocchio, continua a provare, pallido per il dolore ma deciso, come un giocatore di foot-ball infortunato, a rimanere in campo fino al novantesimo minuto.
Lo scoppio della guerra trova Brazzi sempre seduto nelle anticamere degli uffici delle Case cinematografiche. Alessandrini lo invita, per la verità con scarso entusiasmo, ad un provino per Il ponte di vetro. Questo provino, il nono o decimo della serie, ha un esito soddisfacente e Brazzi viene scritturato come protagonista maschile del film. Dopo quasi cinque anni di attesa, Rossano ha potuto finalmente varcare la soglia di Cinecittà con una scrittura in tasca. Le mille e duecento lire al mese del contratto vengono spese per il matrimonio di Rossano e « Cicci »; per la casa; e per una più dignitosa vita coniugale.
Frattanto esce Il ponte di vetro e Rossano comincia ad essere braccato da decine di ammiratrici più o meno focose ed intraprendenti, validamente respinte, peraltro, dalla ciclonica « Cici ». A Berlino, alla prima de Il ponte di vetro vengono donate alle spettatrici spille con il ritratto di Rossano; e quelle spille diventano una moda.
Al film di Alessandrini seguono Kean, Ritorno, Il bravo di Venezia, I due Foscari, Noi vivi, Tosca e tanti altri ancora.
Fine della prima parte
Augusto Errante
(Bis, Milano, 27 Maggio 1950 – testo archivio in penombra)