Un Angelo e il Diavolo Salacrou

Roma, maggio

Chi non incontreremo quest’anno a Roma di gente nota nel campo delle arti e specialmente in quello dello spettacolo? Vengono tutti, ad uno ad uno, — questo è bello — vengono per lavorare.

Ora è la volta di Salacrou che lavora con René Clair intorno al film Universalia La beauté du diable di cui sono rispettivamente soggettista e regista e che stanno sceneggiando insieme. René Clair verrà tra qualche giorno; Salacrou è già qui e Salvo D’Angelo ha radunato intorno a lui, all’Hôtel de la Ville, giornalisti e letterati.
Tutti si affrettano intorno all’ospite illustre: io mi soffermo ad osservare il sorprendente animatore della nuova grande cinematografia italiana: ha veramente, in mezzo ai riccioli, un viso d’angelo tormentato… Tormentato perché il cinematografo è capace di tormentare anche i celestiali, ma tormentato serenamente come sanno esserlo lassù, tra nuvola e nuvola. Si giurerebbe che porti le ali sotto la giubba e che gli sia possibile sorridere così, con questi chiari occhi innocenti, anche dinnanzi ai libri d’amministrazione d’un film di Blasetti (per le spese, s’intende, e per gli incassi).
Sono certo che tra dieci anni e non di più tutti crederemo che Castel Sant’Angelo, su cui spalti pontificati ha messo le tende, si chiami così per uno spiegabilissimo errore popolare di pronuncia e che il nome vero dell’insigne monumento è Castel Salv’Angelo.
Non crediate che mi dimentichi di Salacrou e del suo film: per arrivare a un diavolo bisogna sempre cominciare da un angelo, come insegnano le Sacre Scritture.
Gioviale e giovanile com’è l’autore di moda a Parigi, non dimostra i suoi precoci cinquant’anni e non ripete davvero il tipo inquieto e ambiguo di certi autori d’avanguardia del suo paese: è un diavolo perfettamente normale, con pipa, lietissimo di far parte, in attesa di giungere all’abito verde dell’Accademia Goncourt. Ci racconta con effusione che per il piacere di collaborare con René Clair e di venire in Italia con lui ha rinunciato a scrivere la sua nuova commedia: che è stato tra noi a diciotto anni e precisamente a Firenze dove è rimasto tre mesi, ricordando i quali scrisse La terre est ronde data nel ’37 all’Atelier con Dullin…; che giudica il cinema italiano d’oggidì il più interessante di tutto il mondo e che è incantato da Ladri di biciclette e di De Sica, regista formidabile che ha segnato una data nella storia dello spettacolo cinematografico.
In quanto alla Bellezza del diavolo ci ha detto che vi si svolge ancora una volta il mito di Faust attinto alle fonti popolari che precedettero la grande trasformazione goethiana, al Dottor Faust insomma, che si rappresentava nei teatri di marionette della vecchia Germania.
Ricordo che Busoni mi raccontava d’aver visto con i suoi occhi una di queste rappresentazioni, in un paesino della Selva Nera, e di averne tratta ispirazione per scrivere il suo Faust.
« È la vocettina fessa del burattinaio che parlava per Mefistofele — osservava ridendo il musicista empolese — che mi ha indotto a fare del mio demonio un terrore ».
Salacrou non conosce l’opera du Busoni, compositore irregolarissimo e genialissimo che scriveva da sé i suoi strani biglietti; penso che la sua poesia e la sua musica potrebbero procurare utili suggestioni ai due creatori del nuovo film. È vero che Busoni ha concepito un Faust gotico, mentre Salacrou e René Clair faranno un Faust barocco, ma che cos’è il barocco se non un ritorno alla fantasia gotica? E, poi, il gotico di Busoni era toscano come il barocco de La beauté du diable è romano. Perché, a quanto informa l’autore de L’archipel Lenoir, l’edizione pellicolare del mito faustiano sarà immersa nella fantasiosa atmosfera della romanità barocca, si svolgerà in un paese interamente costruito dal cavalier Bernini e dai suoi bizzarri seguaci.
Tutto questo, naturalmente, ha stuzzicato non poco la nostra curiosità, ma invano, perché del film, fino all’arrivo del regista, non potremo sapere di più.
Il poeta parla del suo collaboratore con entusiasmo; essi hanno sceneggiato e dialogato da soli il oro soggetto, seguendo con pazienza reciproca, uno le esigenze dell’altro, ma si vede che i registi sono tutti d’una pasta perché Salacrou racconta con ammirazione infinita:
« È un vero piacere lavorare con René Clair! È un uomo pieno d’idee. Quante volte tutto quello che era stato fatto di pieno accordo, dopo un giorno d’intensa fatica, bisognava rifarlo daccapo il giorno dopo per una nuova idea che gli era venuta durante la notte!… La nostra sceneggiatura è una vera tela di Penelope ».
Bisogna proprio dire che i registi sono le Penelopi del cinematografo. Aspettano un Ulisse che non arriva mai e, quando bisogna cominciare a girare, adoperano la tela che hanno, come l’hanno ridotta coi loro guasti notturni.
Ciò non avverrà per La bellezza del diavolo: René Clair è tanto poeta anche lui da trovare in se stesso il suo proprio Ulisse.
Esaurito l’argomento cinematografico, abbiamo parlato con l’autore drammatico Salacrou di teatro. Io, autore bragagliano, lui portato per la prima volta in Italia da Bragaglia — ricorda con molto piacere le belle rappresentazioni de L’inconnue d’Arras — ci siamo affiatati nel nome di Anton Giulio. Egli crede che tutti i mali del teatro moderno provengano da questo, che il teatro costa troppo, quando non si disponga di una metropoli come Parigi, Londra, New York, che può pagarselo.
« La nostra provincia — dice — deve risolvere gli stessi problemi che dovete risolvere voi in Italia, per tutte le vostre città ».
Così, pensa che il teatro sia ormai pasto per un pubblico intellettuale che a Parigi e nelle città egualmente grandi o più grandi di lei è così numeroso da poterlo pagare quanto costa.
Per il resto del popolo c’è il cinema; ed egli fa anche del cinema, come prova questa sua venuta a Roma.

Luigi Bonelli
(film, Milano, 29 maggio 1949 – archivio in penombra)

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