Cinema per turisti

Il cinema accomoda tutto. Di una mediocre commessa di negozio fa una grande attrice; una vasca da bagno e cinque barchette di legno bastano per creare un raccapricciante naufragio, mentre da una cartolina illustrata si possono ricavare gli elementi per far rinascere una casa, un palazzo, una città distrutta. È quello che è accaduto per Montecassino.

Montecassino, si sa, non è che una grande muraglia sbriciolata dalle bombe, ma sulla scorta dei documenti fotografici è sorta alla Farnesina un’abbazia nuova di zecca che farebbe piangere di commozione i bravi e pensosi monaci che son rimasti laggiù, nella valle, a immalinconirsi sulle rovine, sfidando la malaria che non è meno pericolosa della guerra. Quei monaci che montano la guardia alle macerie potrebbero accompagnare a Roma i pellegrini che vanno a visitare gli avanzi dell’abbazia; potrebbero condurli alla Farnesina e mostrar loro com’era bella la loro chiesa, prima che le bombe e le cannonate la riducessero a un cumulo di pietre.

Prima ancora che il progetto per la ricostruzione fosse approvato, Montecassino è risorta a Roma, in legno, ferro e faesite, per servire a una finzione. Eccola qui la basilica: coi suoi marmi, le statue, gli imponenti scaloni. I turisti in divisa cachi farebbero bene a dare un’occhiata a queste finte costruzioni cinematografiche per avere un’idea dei danni subiti dal nostro paese per una guerra sciocca e inutile.

Non è stato uno scherzo rifare la vecchia e gloriosa abbazia sul colle della Farnesina, se si pensa che queste costruzioni, le più imponenti, forse, create dai nostri architetti cinematografici, sono costate finora più di dieci milioni, se si pensa che varie centinaia di operai lavorano alla finta ricostruzione da alcuni mesi, mentre il regista Gemmiti e l’architetto Equini sono andati su e giù da Roma a Cassino centinaia di volte, per correndo insieme oltre cinquantamila chilometri.

Di queste cose Arturo Gemmiti, il regista del film, ne parla con calma, come se non lo riguardasse. Ci dice che ha trascorso una cinquantina di notti in viaggio, percorrendo una zona non del tutto tranquilla, e ce lo dice come se raccontasse fatti accaduti a un’altra persona. Le nottate trascorse sotto la luna, i pericoli della malaria e dei banditi, non contano per lui; quello che conta è il film, questo film che si sta facendo in silenzio, che costerà parecchi e parecchi milioni, che si gira da tre mesi e durerà ancora fino a luglio e lo porterà ancora su è giù da Roma a Cassino, da Cassino a Roma, in mezzo ai benedettini del convento e tra i finti frati del film, tra soldati polacchi, inglesi e tedeschi; tra operai e comparse che inghiottono di mese in mese milioni di lire sotto forma di stipendio, di salario e di ore straordinarie.

Arturo Gemmiti è un giovanotto di poche parole, calmo, tranquillo, che perviene al cinema spettacolare dopo dodici anni di attività trascorsa come soggettista, sceneggiatore e regista di documentari. È stato scelto per dirigere Montecassino appunto in virtù di questi dodici anni di attività documentaristica. Questo è il suo primo film a metraggio normale e spettacolare nel vero senso della parola. Prima di assumersi il grosso incarico, Gemmiti ha voluto una settimana esattamente, e ha detto di sì, che se la sentiva di fare il film, che lo avrebbe fatto. Poi è andato a Cassino a studiare l’impostazione, il film lo ha ideato lui dopo diversi giorni di permanenza nella valle. Rientrato a Roma, aveva pronta la trama dl soggetto e dopo due mesi aveva già compilato la sceneggiatura, insieme a Virgilio Sabel e Giovanni Paolucci. Tutto questo, con una calma metodica, con una puntualità esasperante.

Abbiamo rivisto Gemmiti dopo due anni. Fin da allora egli pensava a qualcosa di grosso, diceva di voler uscire dal binario della consuetudine e si capiva che ci avrebbe messo tutto il suo ardore per farlo. Ora, eccolo qui, è un signor regista che tenta di sottrarsi astutamente alle nostre domande e finisce per confessare che si tratta della prima intervista che subisce, non ci si è ancora abituato. È difficile cavargli una parola sul suo conto, andiamo avanti a forza di aneddoti. Abbiamo parlato del nostro primo incontro, abbiamo parlato di donne e di guerra; si dovrebbe parlare del film e Gemmiti preferisce invece parlare di altre cose.

A Cassino, non è una novità, c’è oggi una atmosfera da Far West, un’aria pioneristica. I pochi commercianti che hanno piantato le prime baracche nella valle non hanno affrontato solo le privazioni e i pericoli della malaria, ma anche quelli del banditismo. Tutti sono scesi a Cassino armati come ai tempi di Fra Diavolo, e del resto armi se ne trovavano a volontà. Anche i bambini, laggiù sanno cos’è una bomba a mano o un mitra. Naturalmente — conoscendo per fama la zona — quelli della troupe non hanno esitato a bardarsi anche loro di cartucciere e di mitra, come fossero i protagonisti di un film di Tom Mix. E la prima notte che attori e tecnici trascorsero nella valle fu una notte di guerra: come per una cura preventiva, regista, operatore e tecnici si misero a sparare all’impazzata scaricando in aria migliaia di colpi. Se c’erano in paese dei malintenzionati, capirono subito che c’era poco da scherzare con loro; le armi non si adoperano, di solito, contro chi è armato meglio. Ora Gemmiti, l’operatore Portalupi, l’aiuto Sabel e il direttore di produzione Baldoni sono considerati i migliori tiratori della valle.

Quando girano a Montecassino i tecnici della Pastor sono spesso oggetto della curiosità dei molti militari che si recano in pellegrinaggio sul colle dell’Abbazia. Anche i soldati inglesi a americani sono molto curiosi davanti ai misteri del cinematografo e finiscono per trascurare la ragione che li ha portati lassù per seguire le fasi delle riprese. Gli estranei, naturalmente, tra frati veri e finti, finiscono con l’equivocare e ogni tanto accade che alcuni soldati vadano a chiedere la benedizione all’abate del film e un autografo a un monaco vero, scambiandolo per un celebre attore.

Molti degli interpreti secondari del film sono stati scelti fra la gente di Cassino, fra quelli che hanno partecipato alla tragica avventura di guerra. Uno degli ufficiali tedeschi è interpretato da un professionista tedesco residente da molti anni in Italia e che ora va specializzandosi in un determinato ruolo alla maniera di Erich von Stroheim; si tratta dello stesso attore che ha interpretato la parte del sergente tedesco in Due lettere anonime, e quella del comandante del battaglione in Un giorno nella vita. È l’unico attore di una certa notorietà che appare nel film di Gemmiti. Sarebbe stato difficile, del resto, trovare un’altra persona per quel ruolo: di tedeschi, anche in Germania, se ne trovano pochi e quei pochi dichiarano di essere austriaci o, per lo meno, di non aver voluto la guerra. Sì, quella guerra che ha sconvolto Cassino e altre migliaia di paesi in Italia e di cui alla fine forse noi soli pagheremo il conto.

Italo Dragosei
(Hollywood, Milano, 10 Giugno 1946 – testo archivio in penombra)

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