Settimana romana

Il cinema italiano ha uno strano destino, abituato com’è ad essere sfruttato da tutti e poi trattato come uno sfruttatore. Se c’è da chiedere dei contributi per l’assistenza invernale, autorità, partiti e associazioni di beneficenza si rivolgono abitualmente al Cinema “che può”; se c’è da spremere nuove tasse, ecco il Cinema pronto a pagare e tacere; se c’è bisogno di grandi sale per tenere comizi politici, quelle cinematografiche sembrano fatte apposta per questo e se nel corso del comizio qualcuno rompe le sedie, il motto “chi rompe paga” non viene mai applicato e i cocci sono sempre del cinematografo.

Così, questa industria nazionale che allo Stato chiede soltanto dei prestiti senza ottenerli, quest’industria che riesce ad imporre il proprio prodotto all’estero, a dispetto delle industrie di paesi molto più potenti; quest’industria il cui prodotto viene tassato in Italia forse più dei tabacchi e forse più degli stupefacenti , per virtù di certi abitudinari denigratori, passa ingiustamente come un’industria che si aggrappa alle mammelle dello Stato e ne succhia miliardi, a dispetto del Popolo e del Parlamento.

E siccome ogni anni partono attacchi ingiustificati contro il Cinema, anche quest’anno la Commissione Finanziaria del Senato, composta da degnissime persone che avrebbero almeno l’obbligo di conoscere la materia che trattano, se l’è presa col cinematografo. In una relazione stesa dal senatore Marconcini, la Commissione predetta, esaminando il bilancio del Ministero del Tesoro per l’esercizio finanziario 1951-1952, « ha rilevato che i premi ai produttori di film nazionali portano una spesa di tre miliardi e 473 milioni ». Senza aver ben capito la faccenda, il senatore s’è allarmato e non ha esitato a elevare una vibrante protesta contro questo “sperpero”, deplorando che si debbano spendere circa tre miliardi e mezzo per un divertimento, « quando ci sono ancora numerosi e gravi problemi umani e sociali che attendono e implorano di essere risolti ». Parole sante se il senatore avesse capito veramente la materia trattata. E chi di noi, che viviamo dentro o ai margini del cinematografo, si sentirebbe capace di sottrarre tre miliardi e mezzo ai “problemi sociali” per regalarli al cinematografo?

Senonché il senatore s’è sbagliato, ha preso fischi per fiaschi ed ha elevato la protesta che nessuno potrà prendere sul serio. Il cinema italiano non è come quelle fortunate industrie nazionali (automobilistiche, siderurgiche, turistiche, meccaniche, ecc.) che pompano continuamente danaro dalle casse dello Stato per mantenersi in vita artificiosamente; il cinema italiano vive di vita propria e dallo Stato non riesce nemmeno ad ottenere un po’ di credito in più delle poche lire che riceve a fatica dalla Banca del Lavoro. Il cinema offre annualmente allo Stato numerosi miliardi sotto forma di tassa erariale; e siccome alcuni anni fa lo Stato si è accorto di aver stretto le mani intorno al collo del cinema fino a strozzarlo, s’è commosso e ha deciso di restituirgli una parte, una piccola parte di quello che gli toglieva con la pistola alla mano.

E così, non avendo il coraggio di chiedere allo Stato quello che chiedono e ottengono le industrie privilegiate, il cinematografo è riuscito a farsi restituire una parte della tassa erariale, un rimborso, diciamo, per meriti speciali. Le tasse sugli spettacoli sono fortissime, circa il 35 % sugli incassi lordi; di queste tasse una piccola parte, talvolta il dieci e talvolta il diciotto per cento, viene rimborsata sotto forma di “premio” o di contributo governativo, ai produttori dei film più meritevoli. Insomma, lo Stato piglia dall’incasso lordo il 35 %, poi da questa somma toglie il 18 per cento e lo dà ai film meritevoli, non avendo cuore di tenersi tutto. E con questo rimborso del suo danaro, il produttore che ha rischiato di rompersi l’osso del collo producendo un film che viene a incassare meno di quanto è stato speso, ci si va a comprare la corda per impiccarsi, mentre gli industriali saggi che producono automobili, carri armanti, biciclette e trattori, quando si accorgono di guadagnare poco, presentano i conti allo Stato oppure lasciano occupare le fabbriche alle maestranze, in attesa che la Celere provveda.

Tutto questo il Senatore non lo sa e siccome non ha tempo di documentarsi, perché deve andare a tenere un discorso a Corigliano Calabro oppure a Villarboit, sferra un violento attacco contro il Cinema, dice che non si possono sprecare i miliardi per un divertimento e se ne va a dormire tranquillo per aver compiuto il suo dovere.

Se Dio vuole c’è qualcuno che veglia e cerca di spuntare il tiri mancini cui viene fatto oggetto il cinematografo. Così, l’avvocato Monaco, presidente dell’Anica, è partito in “quarta” su un giornale tecnico per far rilevare l’enormità delle accuse mosse contro questo nostro tanto bistrattato cinema. Ma i parlamentari leggeranno i nostri giornali? Oppure crederanno anche loro che il cinema è uno sprecone e gli taglieranno i viveri, quei viveri che sono soltanto frutto del suo lavoro? Ecco cosa può succedere quando le relazioni sui bilanci vengono affidate a uomini che non si prendono la briga di documentarsi. Chi leverà dalla testa dei senatori, adesso, che il cinematografo non è uno sfruttatore ma uno sfruttato?

E passiamo a notizie un po’ più allegre. Carlo Croccolo continua a imperversare, malgrado l’infelice esito dell’ultimo film, Stasera sciopero. Oltre ai quattro film di cui abbiamo dato notizia recentemente, il giovane comico napoletano è stato scritturato per un nuovo film che verrà diretto da un noto umorista, Carlo Manzoni, e si intitola Ha fatto 13; poi si vedrà se il 13 l’ha fatto Croccolo o il produttore.

È stato finalmente stipulato un accordo fra l’industria italiana e quella degli Stati Uniti che regola i problemi pendenti fra i due paesi. Uno dei punti più importanti di tale accordo riguarda la distribuzione dei film italiani negli Stati Uniti che sarà protetta dalla MPEA, associazione delle maggiori case cinematografiche americane, la quale finora ostacolava la distribuzione dei nostri film nei grandi circuiti di sale degli Stati Uniti.

Italo Dragosei
(Hollywood, Milano, 23 giugno 1951 – testo archivio in penombra)

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