Se possedete la virtù di Giobbe e il difetto di Psiche, vale a dire pazienza e curiosità, potrete ricavare vivo motivo d’interesse nell’assistere alla incisione della colonna musicale di un film. Pur essendo sforniti d’uno di quei requisiti (la virtù, naturalmente), l’altro ci pungeva troppo per lasciarci indifferenti alla notizia che avremmo potuto presenziare all’incisione della musica per Sotto il sole di Roma, uno dei film di cui più si parla negli ambienti cinematografici nazionali e internazionali. Figuratevi che così come si trova, ancora incompleto, è già stato venduto per l’America Latina e che le domande d’acquisto per ogni paese del mondo s’accumulano sul tavolo del produttore Sandro Ghenzi. Una specie di plebiscito d’entusiasmo circonda questa nuova originalissima opera di Renato Castellani; doppiamente sua in quanto da lui ideata e diretta.
La Fono Roma ha due sale di proiezione, una addobbata in verde, l’altra in rosso. L’incisione della musica per Sotto il sole di Roma si faceva nella sala rossa, la più grande. Tuttavia l’orchestra di 40 elementi riempiva tutto lo spazio disponibile. Provavano. Faceva caldo. Il maestro Ferrara su un piccolo podio di fronte al telone, guidava con mano incisiva. Sullo schermo intanto a luce accesa, appariva il brano del film il cui commento musicale si stava suonando. Accanto a Ferrara, dal profilo asciutto e nervoso, Castellani col suo volto giovanile e tranquillo seguiva attentamente proiezione e musica. Il pezzo finì che eravamo appena arrivati e i due si scambiarono a bassa voce alcune parole. Collaborazione stretta fra immagine e suono. I componenti della orchestra ne approfittarono per asciugarsi il sudore e farsi un po’ di vento. L’arpista, bella come un’attrice, accordò una nota al pianoforte che le era accanto. Con un secco cenno, Ferrara riprese a dirigere, e la prova ricominciò. Vedemmo così finalmente per la prima volta, sia pure non nelle migliori condizioni di visibilità una sequenza del film. Un gruppo di ragazzi erano a bagnarsi abusivamente in una « marrana » alla periferia di Roma. Uno stava per affogare. Ciro il protagonista, un bel ragazzo bruno e forte, un popolano romano genuino, fece un tuffo spettacoloso e si buttò a salvare il compagno. Come lo trasse a riva, tutti gli altri gli furono intorno, in teoria per dare aiuto, in pratica per sballottare qua e là come un sacco di cenci il povero Geppa che se l’era vista brutta. Questo Geppa è un tipo veramente curioso. Buffo, con una lunga scucchia e un’arruffata capigliatura, i piedi dolci e le mosse goffe, racchiude in sé un’anima di fanciullo sognatore che non vuol diventare adulta. Ciro, nella vita vera, fa il bagnino, e Geppa il postino. Finito il film, sono ritornati entrambi ai loro mestieri.
Mentre Ciro si china sul Geppa che sorride al suo salvatore, c’è una interruzione brusca. I ragazzi hanno avvistato da lontano le guardie. Un accenno a un tipico motivo di caserma spezza d’un tratto la melodia che si stava snodando. Le guardie s’avvicinano. I ragazzi fuggono tra acque e canneti in una serie d’inquadrature degne di quel maestro delle immagini che è Castellani. Ciro dimentica su un cespuglio le sue nuove scarpe di tela. Queste scarpe hanno una funzione precipua nella prima parte dell’opera, sono delle vere e proprie protagoniste. Le guardie le sequestrano con aria grave. Finisce in tal modo il brano del film e della musica molto bella, scritta da Rota.
È andato tutto bene? Non pare. Il maestro Ferrara non è contento del”effetto ottenuto e si agita, mentre un ciuffo di capelli gli piove sulla fronte. « Rinforzare i corni » grida. Noi ci mettiamo a fare dello spirito con il direttore di produzione, Ermanno Donati. Ermanno, aitante ragazzo bruno, starebbe benissimo sullo schermo a far le parti di cattivo: veri registi glielo hanno proposto, perfino Rossellini. Donati dice scherzando che se noi giornalisti gli facciamo pubblicità, un giorno o l’altro si deciderà al gran passo.
Ricomincia la visione e l’orchestra riattacca. Neanche stavolta Ferrara è contento. « Non è chiaro », dice agli ottoni. « Non è chiaro. Ripetiamo, ripetiamo ». Ripetono. La nostra curiosità langue e l’impazienza aumenta. Ce ne andiamo nel corridoio a chiacchierare con l’avvocato Ghenzi, uno fra i produttori più intellettuali del nostro cinema, che stavolta ha abbandonato per la vita vera, le fonti letterarie a lui care per i suoi film. Donati è rimasto nella sala intento a scribacchiare qualcosa su un taccuino. Il motivo musicale ci giunge ancora, perfettamente eseguito, e finalmente apprendiamo da Castellani, affacciatosi a respirare un po’ d’aria pura, che finalmente è la volta buona. Breve sosta durante la quale Donati mi rivela una nuova sua dote, facendomi omaggio della caricatura del maestro Ferrara da lui eseguita con molta arguzia, in due minuti. Castellani parla, con vivacità insolita in lui, della soddisfazione che gli han dato i suoi ragazzi, gli interpreti di Sotto il sole di Roma, tutti ignari della macchina da presa e tutti bravi e pieni d’entusiasmo nel lavoro.
Finalmente si passa a un altro pezzo. Stavolta sullo schermo appare Iris, la protagonista femminile. È una popolanella schietta, dall’espressione un po’ dura che si fa dolcissima nei momenti d’emozione. Il suo viso di ragazzina romana s’illumina di viva bellezza. Ciro aspetta Iris in uno spiazzo deserto tra i grossi palazzoni del Quartiere Appio. Sono ancora in ballo le scarpe bianche; Ciro, dopo che le guardie gliele sequestrarono, ne aveva avute un altro paio. Riteneva che fossero state comprate coi denari da lui lasciati a Geppa, invece le aveva pagate Iris. Ora l’ha saputo e attende la ragazza. Prima le fa una scena amorosa che finisce in un lungo bacio, secondo i buoni canoni imparati al cinema; poi, d’improvviso si fa rude. Lui non sfrutta le donne e, con una mossa alla Alfredo Germont o all’Armando Duval che dir si voglia, le butta addosso una manciata di quattrini, i soldi delle scarpe, poi se ne va a gran passi teatrali e la povera Iris, disperata, si copre il volto con le mani. Un pezzo da far saltare sulle sedie gli spettatori. Però le interruzioni ricominciano e le prove s’accumulano. Abbiamo visto due, tre, quattro volte il bacio dei due ragazzi e l’oltraggio di Ciro. Ce ne volete se non ne abbiamo potuto più?
Mila Caviglia
(Hollywood, Milano 26 Giugno 1948 – testo archivio in penombra)