In mancanza di una produzione che possa giustificare le polemiche di carattere artistico, i circoli cine-giornalistici-mondano-politici della Capitale sguazzano nella polemica d’accatto, si dilettano di attacchi di carattere politico nulla a che vedere con la produzione, partecipano a grassi pranzi che hanno l’unico scopo di smentire notizie di scarsa importanza e tentano di attribuire ad ogni attore, ad ogni film, ad ogni progetto intenzioni e propositi inesistenti.

Procediamo con ordine. I primi sintomi della bufera cartacea si ebbero non appena iniziò la lavorazione del Quo Vadis?: gli attacchi erano nell’aria e fu forse per questo, per giustificare davanti agli occhi del Popolo la cessione degli stabilimenti a una società americana, che la Direzione di Cinecittà fece apparire lunghi articoli pubblicitari sui quotidiani più importanti della Capitale a proposito dell’inizio del Quo Vadis? In tali articoli si tentava di esaltare l’avvenimento come il frutto di una entente cordiale tra l’Italia e l’America: non ce n’era bisogno, giacché si trattava  soltanto di un affare e chi fa affari non è tenuto, di solito, a giustificare la sua condotta. Infatti, qualche settimana dopo, alcuni giornalisti di sinistra cominciavano prospettare « la drammatica situazione degli operai di Cinecittà messi sul lastrico dai plutocrati americani », niente di più bugiardo, poiché è noto a tutti che per l’alto prezzo di affitto i teatri di Cinecittà erano rimasti vuoti per gran parte dell’anno e gli operai dello stabilimento avevano cercato — e trovato — lavoro altrove. L’affitto dell’intero complesso da parte della Metro, poteva, semmai, offrire lavoro a chi non ne aveva trovato: e così fu; alcune centinaia di operai rientrarono a Cinecittà e lavorarono sotto la direzione dei tecnici americani. Naturalmente, finito il lavoro delle ricostruzioni, quegli operai furono licenziati ed ecco la propaganda politica che comincia a scatenare i suoi fulmini su Cinecittà e sul Quo Vadis?; ed ecco la Direzione di Cinecittà che corre ai ripari e offre pranzi ai giornalisti per spiegare perché quegli operai furono licenziati: ce n’era bisogno? No, e quei pranzi potevano benissimo essere offerti agli operai licenziati! Subito dopo, la Metro s’è affrettata a spiegare ai giornali che numerosi grandi attori erano stati arruolati sotto le sue bandiere e, questo, sempre nell’intento di far tacere quei pochi giornali di partito che hanno fatto la voce grossa. Per quale ragione la Metro deve render conto agli estranei se scrittura o meno attori italiani per un film americano che non chiede né buoni di doppiaggio né premi speciali? Comunque, se volete saperlo, gli attori italiani scritturati da Mervyn LeRoy, oltre a Marina Berti, sono Alfredo Varelli e Clelia Matania che sanno parlare inglese abbastanza bene.

Nel frattempo, Alberto Lattuada e Federico Fellini hanno cominciato a dirigere un film in sociale, vale a dire, il primo esperimento di cinema in cooperativa, al quale partecipano, oltre ai due registi, gli attori Peppino De Filippo, Carla Del Poggio, Giulietta Masina, John Kitzmiller e Folco Lulli: cosa c’è sotto la produzione di questo film cooperativistico? Nient’altro che il tentativo, da parte di un gruppo di artisti, di sottrarsi al dominio del produttore; in altre parole, attori, registi e tecnici si sacrificano, rinunziano al guadagno immediato, per vedere se riescono a produrre in proprio e, quindi, potersi mettere in tasca alla fine un gruzzolo maggiore, non dovendo dar conto del loro operato ad alcun capitalista. Ma qualcuno ha visto, anche in questo tentativo, un fatto politico ed ecco gli inviati dei giornali che non solo vanno a chiedere alla Del Poggio e a Kitzmiller le loro impressioni di artigiani.produttori-comproprietari, ma pretendono perfino di apprendere, dalla bocca di due attori, notizie di politica estera: « Credete che l’America boicotterà questo film? », oppure: « Cosa pensate del Piano Marshall? ». Sono queste le domande alle quali gli attori di Luci del varietà avrebbero dovuto rispondere e davanti alle quali hanno preferito tacere.

Italo Dragosei
(Hollywood, 8 luglio 1950 – testo archivio in penombra)

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