Può capitare di questi tempi ad una bella ragazza romana di essere rapita in una sala da ballo o sulla rotonda di uno stabilimento balneare e di trovarsi, senza nemmeno saper come, dinanzi ad una macchina cinematografica, mentre da tutte le parti spietati riflettori la ubriacano di luci. Può capire perché i produttori italiani sono tutti sul piede di guerra e le attrici disponibili si contano sì e no sulle dita di una sola mano. E anche quelli tra i produttori che si fanno il segno della croce a sentir parlare di “neorealismo” e di “gente presa per la strada” si rassegnano alla situazione d’emergenza. A la guerre comme à la guerre…
Giuseppina V. s’è trovata alle 10 di mattina nel teatro n. 2 della Titanus con un vestito frusto che le avevano messo addosso in fretta e furia dopo averla rapita mentre prendeva il treno per Ostia. L’aveva catturata Vittorio Glori, il direttore di produzione del nuovo film di De Santis, intestardito a contribuire in qualche modo ad una vera e propria “battuta” condotta da tutti gli aiutanti del regista. Basilio Franchina aveva passato tutta una mattinata di domenica Fregene, aveva fatto una scappata nella pineta e al ritorno aveva saccheggiato l’archivio di un paio di fotografi importanti. Nelli e Moretti (rispettivamente assistente alla regia e segretario di produzione) avevano fatto il giro delle sale da ballo, da via Silla a Monte Sacro.
Il produttore Forges Davanzati era andato a vedersi un paio di elezioni di reginette e lo stesso De Santis s’era avventurato in un giro d’esplorazione in vari ambienti: alcune copisterie, un atélier di via Sistina, un pensionato femminile dell’YWCA.
La scelta di Vittorio Glori pareva particolarmente felice: una bella e florida ragazza, alta, slanciata, non eccessivamente formosa. Giuseppina V. è figlia d’un ingegnere che, dopo essere stato impiegato in una fabbrica di strumenti di precisione s’è ritirato in casa per lavorare intorno a due apparecchi di sua invenzione: un torrefattore e un forno elettrico.
Giuseppina, aspettando che venisse il turno per il provino — erano cinque le candidate — provò l’emozione della prima intervista. Alcuni giornalisti che si trovavano in visita allo stabilimento si divertivano a rivolgerle un sacco di domande. L’aspirante diva si stringeva tra le ginocchia i lembi della corta vestarella che le avevano fatto indossare e rispondeva all’interrogatorio, incoraggiata da una sorella maggiore ch’era presente. Titò fuori dalla borsetta la carta d’identità per documentare i suoi 19 anni. Disse che ha frequentato la quarta magistrale. Confessò che le piacciono i film americani. Non negò di essersi accorta che con qualche ritocco alla capigliatura e con l’aiuto di un po’ di rimmel le riesce di avere la faccia di Jennifer Jones in Duello al sole.
Il truccatore l’ammonì un paio di volte di non toccarsi la faccia che aveva sapientemente ammorbidita con mezz’ora di creme e di cerone: e allora Giuseppina non seppe più dove mettere le mani. Poi disse che non aveva mai recitato in filodrammatiche, non si era mai presentato a concorsi di bellezza, e che piace molto nuotare e se potesse fare dello sport le piacerebbe andare a cavallo.
La lasciarono in pace perché imparasse le battute del provino: « Che sei venuto a fare qui? Vattene. Io non ti posso sposare…, eccetera ».
Il provino di Giuseppina V. durò tre quarti d’ora. La ragazza si accorgeva che il cinema è un gioco difficile: a tratti, fissando gli occhi nella penombra del teatro, al di qua del vivido alone dei riflettori, pareva che si trovasse di fronte ad una lavagna su cui fossero scritte delle difficili operazioni algebriche che non le riusciva di sviluppare.
De Santis dette un saggio eccezionale di pazienza e di persuasione: questi registi “neorealisti” sono convinti sostenitori del famoso metodo maieutico in grazia del quale Platone affermava di essere capace di far eseguire terribili operazioni matematiche a uno schiavo ignorante.
Un regista che sceglie i suoi personaggi per la strada (o, per dirla con maggior politezza di linguaggio: attinge direttamente alla vita reale) non dovrebbe trovarsi in difficoltà anche se per una dannata ipotesi venisse a mancargli, proprio all’ultimo momento, l’interprete del film che s’accinge a girare.
Era già stato stabilito che l’interprete di Non c’è pace fra gli ulivi sarebbe stata Silvana Mangano. Firmati i contratti, scritturata la troupe, preparato il materiale, predisposta la partenza della spedizione per la Ciociaria. Raf Vallone, il protagonista maschile (destinato a rivivere l’avventura del pastore Galluppi che tentò la fuga dal carcere di Frossinone col maestro Graziosi) si trovava già da alcuni giorni sul posto per familiarizzarsi con l’ambiente. C’era voluto un mese per cercare tutte le figure di contorno. Poi venne, com’è noto, il terribile venerdì. De Santis non è superstizioso e non crede che il venerdì sia un giorno infausto. Ma fu proprio di venerdì — alla vigilia del giorno fissato per il primo giro di manovella — che gli giunse quella famosa notizia che bastava a mandare all’aria il film. Alle 11 di mattina, di quel venerdì, Silvana Mangano faceva il suo ingresso da Costantini, in via Veneto, per tingersi i capelli: era il primo grosso sacrificio che il cinematografo chiedeva all’avvenente attrice ed essa mostrava di accettarlo di buon grado. Sarebbe diventata « bionda Tiziano ».
Nel pomeriggio avrebbe provato un costume ciociaro e l’indomani sarebbe partita per Fondi.
La Mangano aveva un contratto di cinque anni con la Lux. In un anno sarebbe diventata — coi cinque film per i quali era già impegnata — una stella di prima grandezza: un carrierone che di questi tempi ben poche attrici italiane della “nuova leva” possono sperare di compiere. I maligni dicevano che le aveva portato fortuna l’aver prestato il suo volto di “beltà nazionale” per un famoso manifesto elettorale. Come sia andata la faccenda del “ritiro” non si sa: si parla di una decisione maturata durante la breve permanenza di Silvana e De Laurentiis a Londra negli ultimi giorni di maggio.
È stato un coup de foudre da cui il regista “senza pace” è rimasto addirittura folgorato. Correre ai ripari è stato tutt’altro che che facile: a metà di giugno tutte le attrici che avrebbero potuto essere sottoposte ad un provino risultavano impegnate: la Del Poggio, la Berti, Gina Lollobrigida.
De Santis era stato incitato da più parti a far onore alla sua qualifica di “neorealista” scegliendo una ragazza nuova al posto della Mangano. Dopo una fatica massacrante di due giorni, con dieci provini, la scelta è stata fatta.
Lucia Bosé (Miss Italia 1947) ha avuto finalmente la grande occasione che da tanto aspettava. Di provini ne aveva fatto parecchi e da qualche tempo si diceva insistentemente che sarebbe stata la protagonista del film diretto da Luciano Emmer per conto della nuova casa cinematografica fondata da Amidei.
Il provino fatto dalla Bosé alla Titanus ha pienamente soddisfatto De Santis. Raf Vallone, apprendendo che la bella milanese sarebbe stata la sua “amorosa” le ha ricordato il primo incontro svoltosi nel maggio del ’48 proprio nello stesso stabilimento. A quell’epoca si facevano i provini per Riso amaro e dinanzi all’obiettivo comparvero insieme Vallone a la Bosé. « Ce l’hai l’ingaggio? » domandava allora Raf a Lucia. L’ingaggio che la Bosé non riuscì ad avere per la risaia del Vercelli l’ha felicemente ottenuto all’ombra degli ulivi della Ciociaria.
E.G.M.
(Bis, 9 luglio 1949 – immagine e testo archivio in penombra)