Miss Italia sfida Miss America

Marilyn Buferd Gaio Visconti Lucia Bosé

Amalfi, luglio 1948

« Marilyn, Marilyn! », oramai la chiamano per nome anche i pescatori della costa tra Amalfi, Atrani, Maiori, dove il regista Roberto Rossellini sta girando il suo nuovo film La macchina ammazzacattivi. Marilyn Buferd, per fortuna, non si da arie. È una buona ragazza, semplice, disinvolta. Porta gli occhiali a stanghetta come una studentessa di chimica; e infatti ha fatto l’università. Qualche volta galleggia nella sua conversazione un ricordo scolastico, ma l’altro giorno non sapeva chi fosse San Francesco d’Assisi; e lo sceneggiatore Amidei, gridando ancora una volta « ma questi americani non sanno niente! », si fece in quattro a spiegarle chi fosse stato. E ci riuscì, ma Marilyn storceva la bocca davanti al racconto delle stigmate.

Il giorno dopo voleva sapere chi fosse MessalinaAnna Magnani la guardò, dicendo « che cara! »; e, quasi per richiamo, cominciò a parlare del romanzo di Noel Langley, Lucrezia non mi guardare, con una intelligenza golosissima. Ma Marilyn non è avida soltanto di “grani di erudizione”: bisogna vederla a tavola! Mangia senza risparmio, come uno struzzo, come una murena… non lascia mai niente sul piatto. Se le dicono che ingrassa, scrolla le spalle e fa una smorfia; ed arriva alla gaia impertinenza di rispondere che dimagrerà se dovrà fare qualche parte di ragazza sentimentale e spleenetica.

Ma, a proposito, qual’è la parte che Miss America ha nel film di Rossellini? Sono corse voci diversissime; qualcuno ha detto che è la protagonista. Anzitutto, non ci sono protagonisti nella storia di questo film. È piuttosto un film d’ambiente e corale. Gli attori sono tutta gente del posto, tranne il terzetto americano di Helen e Bill Tubbs e di Joe Falletta. Bill e Joe hanno già lavorato in Paisà; Joe anche in Senza pietà di Lattuada. Miss America avrà una parte così detta di fianco, ma che pochi dimenticheranno. In un paese dove la miseria, la fame, l’ozio sfigurano tutti i volti, Marilyn ogni tanto attraversa le strade e folgora gli uomini con la sua incantata bellezza.

Ma è bella Marilyn? Intanto Miss Italia — Lucia Bosè — è venuta ad Amalfi e vedere un po’ come stanno le cose. È arrivata in macchina da Milano, un pomeriggio pieno di sole. È salita sull’aereo ascensore del Cappuccini e si è subito sdraiata a godersi l’arco del golfo. Era felice. Trovava espressioni di meraviglia, buttandole là in milanese. L’incontro ufficiale di Miss Italia con Miss America avvenne a tavola: e fu subito un punto guadagnato per Marilyn, anche se il baratto reciproco dei sorrisi sembrava lasciare sempre alla stessa distanza.

Ma — allora — chi era in testa? In parole schiette chi è la più bella? Si sa che questa che è la domanda più naturale, è senz’altro la domanda più stupida. Belle possono esserlo tutt’e due, o né l’uno né l’altra. Non c’è che da puntare sul “tipo”. E certo fa più tipo Lucia di Marilyn. Marilyn (senza voler entrare nel trust dei cervelli americani che l’hanno classificata come il simbolo della loro razza e cioè dei loro minuti gusti e piaceri) sembra fatta a posta per non essere un tipo a parte, ma piuttosto per sottintendergli ed assommarli tutti: tipo classico e tipo moderno nello stesso tempo. Del canone greco della bellezza (naso a parte che è lievemente all’insù: nez pointu, nez sensuel?) questo prodotto americano ha una rigogliosa pienezza di forme, che gli spaghetti e le aragoste innaffiate dal “rosè” di Ravello renderanno sempre più giunoniche.

A Parigi, infatti, quando Miss America è sbarcata si sono chiesti se per caso quella bella ragazza soda e sana non fosse un simbolo incarnatissimo del Piano Marshall. E nascondendosi nel tovagliolo Lucia sbirciandola ha detto (in milanese): « Va bene, c’è la pubblicità anche dietro il mio trono, ma questa qui è la réclame “volete salute” del Ferro China Bisleri! » e rideva, rideva.

La sera c’era la festa patronale in città. Processione e fuochi d’artificio. Marilyn aveva paura. La statua del santo barbuto passava saettata dagli sguardi avidi della povera gente, che gli aveva appeso una collana di biglietti da mille intorno al collo e lungo le pieghe della veste fermandola con le mollette da bucato. Ma a un certo punto tutti puntarono gli occhi sulle due Miss. Chi perdeva l’occhio su Lucia, chi lo perdeva su Marilyn. Passeggiavano seguite da sciami di teste che parevano spiccate via dal busto, intontite. Che sia questo il miracolo atteso? Così sembrava che la gente si chiedesse.

E anche nel film di Rossellini, la gente continua ad aspettare miracoli. Miracoli dall’Eterno Padre, e milioni dal Governo. Invece non pioveranno che disgrazie… Che per ora, chissà per quale incantesimo, stanno cadendo tutte sulla troupe: infatti Miss America ha fatto una indigestione atroce di pizze, di fichi, e di uva passolina; Rossellini in una profonda immersione di pesca sottomarina si è incrinato una costola e per una settimana non può girare; un tecnico ha avuto un attacco d’ulcera è ieri è stato operato di oblazione del duodeno; l’autista di Anna Magnani ha avuto una tracheolaringite; e, proprio questa sera, Sergio Amidei (che sulla trama di Eduardo De Filippo e di Fabrizio Sarazani è l’autore della storia della Macchina ammazzacattivi) ha avuto in incidente d’auto e si è ferito ai ginocchi e al braccio…

In compenso, Joe Falletta aspetta di ora in ora la nascita di un pupo.

Ad ogni buon conto Lucia se l’è squagliata. Ha fatto amicizia con Marilyn, hanno giocato sulla spiaggia. E Gaio Visconti, l’ultimo (l’ultimo?) dei Visconti passato al teatro e al cinema — infatti avrà una parte in questo film — ha messo a disposizione tutte le sue virtù adoniche e edoniche, per far sì che il match Italia-America chiudesse alla pari.

Giancarlo Vigorelli
(film, 24 luglio 1948 – immagini e testi archivio in penombra)  

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