Milano, agosto 1945
Nell’ora dell’afa, della sonnolenza, davanti alle bottigliette dello yogurt che la signorina Cecilia sollecitamente tira fuori dal frigorifero, i pittori Guttuso, Morlotti, Ajmone, Peverelli, Kodra e il critico Bonfante non parlano di pittura o di pittori, ma di stoffe, di tram da prendere per andare a Porta Romana, di camere ammobiliate che non si trovano, di portinaie da interpellare, di vino bianco e di film da vedere in serata. Siamo capitati col fotografo durante caracollante conversazione, quasi perfin troppo piena di elementi di vita reale, in tempo utile per bloccare Guttuso e martellarlo di domande sul cinematografo. Egli è, per quei pochi che ancora non lo sapessero, considerato tra i più validi esponenti della pittura italiana e lavora di solito a Roma, a Milano è venuto per la prima volta dopo la liberazione, per rivedere gli amici, e li ha ritrovati intenti al lavoro con l’entusiasmo di un tempo. Manca Cassinari, tra i pittori milanesi, che in questa stagione torrida ha preferito abbandonare la città per andare a dipingere nel piacentino.
Guttuso risponde alle nostre domande con termini pesati, esatti, quasi timoroso di dover dare alle parole un valore che può essere travisato. Il suo regista prediletto? Charlot, regista e personaggio. « Ma è un affetto di vecchi data. Vedo il cinema nuovo come una forza corale, una possibilità di arrivare a tutte le masse, e forse per questo dovrò ricordare Charlot come una simpatia, una pura e semplice simpatia. Credo moltissimo nel cinematografo e nei suoi vigorosi risultati. Ho apprezzato la disperazione e la denuncia del film francese, la partecipazione umana di certo cinema americano, ma ritengo fermamente che il film russo, che opera con principi più giusti, ci possa dare risultati più consistenti ».
Guttuso beve un sorso di latte e riprende a soddisfare le nostre insistenti domande. « Nel cinema italiano ho visto ben poco che mi abbia davvero interessato: due film completi, quali Gelosia e Ossessione; e qualcos’altro di veramente sincero e mio ». Ricorda Guttuso a questo punto, la scena di Un Garibaldino al Convento in cui De Sica mangia pane e formaggio. « A questa sincerità, di cui ho dato un minimo esempio, vorrei fosse informato lo spirito dei Malavoglia nella realizzazione cinematografica. Parteciperò — appena il film sarà varato — come collaboratore; non stenderò la sceneggiatura, si intende — le mie scarse nozioni di tecnica cinematografica me lo vietano — ma aiuterò con consigli, discussioni, idee, i realizzatori pratici del film ». Renato Guttuso ha fissato con poche e precise risposte, la sua posizione di fronte al cinematografo.
Abbiamo voluto in seguito interpellare Ennio Morlotti, il considerevole pittore del giovane movimento milanese, che, con nostra sorpresa, ha abbandonato il suo atteggiamento taciturno per dichiararci schiettamente e con una notevole sicurezza: « Mi piace Ford e prediligo Ombre Rosse, e continuerò a preferire questo film — dove il legame fra i personaggi è pieno di quella umanità che io cerco dovunque — al film francese, dove la vita è una realtà che abbaglia ma inesorabilmente contaminata dalla decadenza. Cerco nel film il destino comune degli uomini, le ragioni del sangue che vincono senza spasimo, senza complicazioni, in modo istintivo e diretto ».
« Allora lei, non tanto nel contenuto diretto e immediato, quanto nello spirito, è decisamente per il film western? »
« Certamente, il contatto diretto con la natura colloca il film in quella sfera di richieste umane che io intendo come le sole e le più forti ».
« C’è qualche soggetto, anche tratto da un romanzo, che lei vorrebbe vedere realizzato sullo schermo? ».
Morlotti pensa un momento: « Sì. Un romanzo di Ostrovskij che io ho letto in edizione francese: Et l’acier fut trempé, e anche il romanzo di Vittorini Uomini e no ».
« La pittura è una visione nuova delle cose — seguita Morlotti, rispondendo a una domanda insidiosa — e il cineasta deve approfittare del dato pittorico per arricchire il cinematografo, i pittori fanno l’educazione delle cose, insomma ». Questa presa di posizione risponde in realtà all’amore che Morlotti nutre per la pittura. Nei suoi quadri la forza è tanta da far supporre in lui una natura schiettamente primigenia, solo dedicata all’arte che professa; ma una conversazione con lui illumina presto l’interlocutore sulla ecletticità della sua cultura e soprattutto sulla validità della sua educazione. Prima di allontanarci chiediamo a Morlotti il nome di un’attrice nella quale egli tutt’ora crede « Greta Garbo », e ci stringe la mano, passando alla cassa per pagare.
F. B.
(Cinetempo, 30 agosto 1945, immagine e testo archivio in penombra)