Al Lido Mike ha battuto la Lollobrigida

Al Lido Mike ha battuto la Lollobrigida

Quest’anno le quotazioni degli autografi, ad un certo punto, furono le seguenti: Mike Bongiorno, lire tremila; Gina Lollobrigida, lire duemila; Alberto Sordi, lire cinquecento. I cacciatori di autografi, qui a Venezia durante il festival, sono un fenomeno concreto, che dà le cifre atte a saggiare gli sbalzi della popolarità. Esiste infatti un vero e proprio commercio, al quale partecipano ragazzi, maschere e camerieri. Alcuni stanno alla posta, per ore, affrontando le calche, sventolando i foglietti. Ottenuta la firma, la rivendono ai pigri più ricchi, e si guadagnano la giornata.

Per la verità i preliminari della Mostra furono caratterizzati da una torbida atmosfera di sospetto. L’ambasciatrice Luce era giunta in anticipo, mostrando — a quanto si dice — di non gradire la premiazione del documentario americano On the Bowery, troppo incline a raccontare agli italiani un’America probabilmente vera, ma poco diplomatica agli occhi di chi già si era opposta, l’anno scorso, alla presentazione di The Blackboard Jungle: due film, due libertà sciupate per chi non se le merita. Poi c’era stata la faccenda dell’arsenico, che continuava, sia pure cordialmente, ad avvelenare il clima, suscitando battute in cui i giochi di parole col noto film di Capra erano persino troppo facili. A tutto questo bisogna aggiungere l’ostilità delle grandi case americane verso la “mostra degli inviti”, per comprendere come l’elegante ambasciatrice di America — sulla cui testa, al piano superiore dell’albergo Excelsior, era finito per caso il rappresentante russo sig. Dmitri Pojidaiev — decidesse di andarsene proprio il giorno dell’inaugurazione della mostra grande. Eppure molti erano disposti a pensare che ella costituisse una prestigiosa attrazione, capace di sollevare il tono della festa.

Il vuoto, dunque, si sentì. Bisogna dire tuttavia, che gli altri fecero il possibile per colmarlo, di fronte al favore popolare. Vennero Maria Meneghini Callas ed Igor Strawinskij, che rischiarono di offuscare la presenza di Helène Remy e Pierre Cressoy, vennero i duchi di Windsor ed Elsa Maxwell, dalla porta d’acqua giunsero il Ministro Cortese ed il Sottosegretario Brusasca, arrivarono Miriam Bru e i giapponesi, Sandra Milo, Elsa Martinelli, il già citato Alberto Sordi, tedeschi, russi, generali, produttori e ancora spagnoli, greci, francesi. Ma vennero, soprattutto, col peso della loro personalità singolare, Gina Lollobrigida e Mike Bongiorno. L’emozione, a queste due ultime apparizioni, fu grande, calorosa, sincera. “L’uomo di Lascia o raddoppia” dicono le cronache, “che tiene in mano l’inseparabile pipa e l’astuccio dei suoi famosi occhiali, dice ai microfoni qualche cosa che non riusciamo ad afferrare poi, mentre la folla, specie l’elemento giovanile, sembra impazzire, si congeda con il non meno famoso gesto della mano che lo caratterizza anche alla televisione”. “La Lollobrigida  arriva” proseguono le cronache, “come una regina, in chiusura. Sono le dieci e da una automobile grigia, mentre la folla impazzisce e i fotoreporters sembrano divenire forsennati, la divissima scende, bellissima, in compagnia del marito Mirko Skofic. Gina indossa un semplice ma elegantissimo abito di una stupenda tonalità di azzurro che si illanguidisce sul nero corvino dei capelli della stella. Alla cintura, sobria delicata macchia di colore, un roseo fiore di seta; originale nota di colore sulla toilette di gran classe, un paio di guanti rossi che segnano le mani levate in segno di saluto verso la folla che non si stanca di acclamare”.

La cerimonia aveva, dunque, ripetuto il suo rito, come gli altri anni, come sempre. E se ogni volta gli applausi ed i trionfi furono riservati agli intervenuti in maniera inversamente proporzionale al loro autentico valore, bisogna dire, con Dreyer, che esiste pure una quinta dimensione, dove il mistero e i miracoli non sono ancora stati raggiunti dalle spiegazioni della scienza. Ma il fatto grosso fu, appunto, quello che segnalavamo all’inizio. Il giorno dopo, nella “borsa” degli autografi, le quotazioni di una firma di Mike Bongiorno erano superiori a quelle dei una firma di Gina Lollobrigida. In altre parole: cresceva, in cielo, la stella della TV. Questo è un fatto storico, la prima volta che accade. Ma allora, chi è Mike Bongiorno? Chi è questo fantasma che mette in pericolo persino i seni di Gina Lollobrigida? Nel sogno (nella realtà fa un mucchio di soldi) egli si presenta con un ciuffo di capelli biondi e l’accento leggermente americano. La pipa, gli occhiali, il saluto romano corretto da un leggero sventolio della mano, come una immagine che balla, sono ormai — come s’è visto — diventati immortali. Nella pipa, negli occhiali, nel saluto romano (dopo tanti) debbono esserci segni misteriosi che non riusciamo a cogliere: forse la persistenza dei gesti di un eroe, che può anche soffiarsi il naso e diventa tipico. Quando si presenta non sorride troppo, porta una cartella sotto il braccio, sembra un professionista. Gli interrogati della sua rubrica di successo lo guardano come un professore all’esame di Stato, lo chiamano “Signor Mike” oppure “Signor Mike Bongiorno” tutt’intero; non sono ancora arrivati al “dottore” perché è un immigrato da poco.

Il suo grande profeta fu Silvio Gigli. Botta e risposta anticipava la moda della cultura enciclopedica (non lo si è riconosciuto abbastanza). Silvio Gigli faceva le domande  e dava lui le risposte, a memoria. Era un titano, la folla sbalordiva, non poteva né voleva credere che si fosse preparato un’ora prima. L’uomo sapeva tutto, toscano e leonardesco, votato a molteplici discipline. Ma non c’era ancora la TV e Silvio Gigli dovette scendere nelle piazze, grandi ma scomode platee, disadatte a un lavoro capillare. Poi venne coi teleschermi Mike Bongiorno, il quale decentrò subito l’epica dell’erudizione, affidandone le responsabilità agli altri. Era un rovesciamento, quasi totale. Se Gigli sapeva tutto, Bongiorno, non sapeva nulla. Lo dovevano sapere i suoi interlocutori. Infatti non solo non preparava le domande (che gli scrivevano gli esperti), ma talvolta non sapeva nemmeno leggerle. Giudice ortodosso, coi registri in mano, misurava la propria mancanza d’informazione con l’altrui sapienza specializzata.

I campioni nella scienza del ciclismo, del calcio, della gastronomia o della zoologia, fiorivano scomparendo come meteore: e lui restava, portavoce e tramite, gli occhiali, la pipa, il saluto romano; e ancora gli occhiali, la pipa e il saluto. Intanto distribuiva premi come una cornucopia generosa che fa ricchi in un colpo.

Così, quest’immagine simpatica della fortuna s’è fissata, estatica e soprannaturale. Attraverso di lui la gente sogna di poter distribuire doni senza sapere nulla. Di fronte ai suoi più eruditi interlocutori egli crea l’illusione consolante che il potere della felicità possa essere lasciato in mano ai neutri, agli ignari, egli invalidi. Poiché resta, e continua a restare, le folle, che sono spesso casalinghe e conservatrici, hanno preso ad amare la sua figura ricorrente: e lì, dev’essere importante; è lì sopra l’altare di uno spettacolo, dev’essere un dio, amministratore di onniscienza, di fato, di gettoni d’oro. Certo il suo successo si giova anche della persistenza delle immagini. Allora bisognerebbe fare un esperimento: prendere un piccolo ciuco, grazioso e morbido, mansueto, e presentarlo ogni sera, per qualche tempo, sui teleschermi. Il ciucco che raglia, il ciucco che sbadiglia, una volta mettergli un nastro al collo, un’altra una gualdrappa; avvolgerlo in una coperta, evitargli le sudate con un ventilatore, fargli mangiare lo zucchero, mostrargli le foto di una ciuca; ma — importante — presentarlo ad ore fisse: il povero ciuchino che cambia un poco ma è sempre se stesso. Alla fine, è probabile, tutti sentirebbero il bisogno del ciuco, gli attribuirebbero virtù taumaturgiche, gli farebbero continui regali. E se un giorno, finalmente condotto all’aperto, passasse per la strada, le folle fermerebbero il traffico per toccare il ciuco miracoloso.

Mike Bongiorno è un abile organizzatore di giuochi. Qui si parla del suo personaggio. Egli è entrato in famiglia, vederlo per la strada è come trovare il proprio scendiletto esposto al balcone di palazzo Venezia. La TV minaccia il cinema. Venezia, questo anno, ha corso il brivido. Le sue grandezze, la Lollobrigida, sono state minacciate da un estraneo, la prima volta, mentre da un parte sbarcavano i principi dell’Achilleus, dall’altra la contessa Bellentani. Le resistenze della cultura si fanno sempre più difficili.

Renzo Renzi
(Cinema Nuovo, 10 settembre 1956 testo e immagine archivio in penombra) 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.