
Roma, settembre 1950
Doris e Constance Dowling erano venute in Italia, due anni fa, col fermo proposito di trattenervisi due settimane, per tornare subito dopo a Hollywood e riprendere il consueto lavoro. Erano venute d’inverno per sciare al Terminillo, quella che viene comunemente definita « la montagna di Roma ». Sciarono una settimana tranquillamente, poi qualcuno propose di fare una capatina alla Capitale e le due sorelle accettarono di buon grado, malate com’erano di nostalgia della grande città.
A Roma le sisters Dowling s’imbatterono per caso in Giuseppe De Santis e siccome il regista di Riso amaro cercava affannosamente una ragazza italiana, il prototipo della donna settentrionale, asciutta, acerba e svelta, da mettere in contrasto con Silvana Mangano che rappresentava invece l’italiana tutta carne, materna e prosperosa, ecco che Doris Dowling si trovò impelagata nel cinema nostrano. « Ma io non sono affatto italiana » disse a De Santis quando ebbe ascoltata la sua offerta. E De Santis fece capire che la nazionalità non aveva importanza, giacché il volto, lo sguardo, il corpo di Doris facevano proprio pensare a una ragazza italiana del nord, asciutta e infaticabile, assai simile a quelle mondine vercellesi che stanno ore e ore in acqua a raccogliere le piantine di riso senza levare un lamento, anzi, cantando dalla mattina alla sera, per poter poi fare la bella vita in città. Cosicché l’interpretazione di Riso amaro fu affidata a due donne che non avevano nulla in comune con le mondine del vercellese: una romana, Silvana Mangano e un’americana, Doris Dowling, figlia di un irlandese e di una slava.
Impegnata nella lavorazione del film, Doris fu costretta a rimandare di qualche mese il suo ritorno in America: il visto al passaporto fu rinnovato e Constance, ch’era rimasta a guardare, ebbe la sua brava offerta e cominciò a lavorare anche lei in un film brillante diretto da Mario Costa.
Ora, da quel giorno lontano, sono passati due anni e le sisters Dowling hanno sempre rimandato da un mese all’altro il ritorno in Patria. Dopo aver interpretato questa primavera Cuori sul mare, Doris ha finito da poco di girare Alina, un film drammatico ambientato al confine franco-italiano, con Amedeo Nazzari, Gina Lollobrigida, Juan De Landa, Otello Toso e Camillo Pilotto. Constance, invece, è tornata in America, ma per interpretare a New York un film italiano, naturalmente. Le due sorelle si sono temporaneamente separate e stanno sul piede di guerra: non non hanno ancora deciso se ricongiungersi qui o a Hollywood, tanto più che Constance ha ricevuto una offerta laggiù e non è il caso di rifiutarla. Per non far torto a nessuno, le due sorelle si terranno in corrispondenza e divideranno il loro affetto in parti uguali tra la America e l’Italia; ormai anche loro sono due pedine nei rapporti economici, culturali e militari che legano le due nazioni: qualcosa come il Piano Marshall del cinematografo.
Doris Dowling s’è sistemata comodamente in una bella casa di via Margutta, ha disfatto le valigie e vive in pieno la sua vita romana, dopo essersi adattata ai gusti e alle abitudini della città. Ha affittato un appartamento nella vecchia strada dei pittori e l’ha modernizzato, inserendovi tutti quei servizi che rendono famosa la comoda vita americana: lo scaldabagno elettrico, la macchina per lavare i panni, il frigidaire, tutte le cose che non avevano mai sognato di possedere i bizzarri artisti che avevano occupato nel passato quella casa.
« In America ho lasciato il cuore e la carriera sicura » mi confessa Doris « ma a Roma ho imparato a vivere, ho conosciuto la vera vita… Che importa se l’almanacco di Gotha di Hollywood dedica ancora poche righe al mio nome? C’è tempo per la carriera! ». Da circa un mese, Doris ha finito d’interpretare il terzo ruolo di donna fatale nella sua attività italiana: è stata la moglie di un contrabbandiere francese in Alina, ha fumato le sigarette in lunghi bocchini d’avorio, s’è aggrappata distrattamente alle tende che ornavano le finestre di una casa da gioco e ha cantato con voce roca alcune di quelle malinconiche canzoni francesi che mandano in delirio i frequentatori di certi loschi ambientini cari al cinematografo. Adesso sta pensando di metter su una società di produzione, s’è associata a un suo conterraneo e a un produttore italiano e sta leggendo alcuni soggetti per scegliere quello che le parrà più opportuno realizzare. Non vuole che si parli molto di questa sua attività di produttrice: prima perché non ha simpatia per le donne d’affari e poi perché preferisce prepararsi in silenzio e dare l’annunzio ufficiale solo a qualche giorno dall’inizio della lavorazione; comunque, se lo farà sarà una producer d’eccezione. Malgrado non conosca ancora abbastanza bene la nostra lingua, nella sua biblioteca, accanto ai dizionari e ai classici della narrativa americana, figurano i nostri libri migliori: dai Promessi sposi, al teatro di Pirandello, da Moravia a Brancati: Doris legge tutto, vuole conoscere bene l’Italia prima di decidere se le conviene tornarsene in America oppure rimanere a Roma.
Doris è piena di idee, piena di pensieri e sente il bisogno di parlare con qualcuno di tutto quello che le frulla nella testa. Si scusa con me del suo mediocre italiano e, piuttosto che parlarmi di lei, della sua attività passata negli studi di Hollywood e dei suoi progetti futuri, preferisce parlare di religione, di letteratura, di usi e costumi della gente che ha conosciuto. « Che può importare alla gente la mia attività di Hollywood? — mi chiede. — Ormai lo sanno tutti che ho lavorato con Ray Milland in Giorni perduti e con Alan Ladd ne La dalia azzurra. I lettori sapranno anche che ho interpretato un film musicale a Cuba, ma non sanno quale grato ricordo porti con me di quel paese e di quella gente. I cubani hanno il ritmo nel sangue, così come i napoletani vi hanno la melodia; fanno tutto ballando, ballano quando parlano, ballano quando lavorano, ballano per le strade. Ah, quanto mi piacerebbe tornare laggiù, girarvi un altro film come intendo io, cercare con la macchina da presa certe abitudini, certe stravaganze, certi riti superstiziosi della gente cubana che nessun turista conosce… ».
Le spiego che queste cose esistono anche da noi: se Doris si prendesse la briga di andare a fare una capatina in Calabria, in certi paesi delle Puglie o della Sicilia, troverebbe anche qui il feticismo e le superstizioni di Cuba, malgrado i secoli di civiltà cattolica che stanno alle nostre spalle.
« Ecco, questo mi piace e certamente andrò a vedere questi vostri paesi e chissà che non debba trarne spunto per un film… ».
A queste cose, propio in questi giorni, sta pensando il produttore di Alina, Arrigo Atti, il quale medita appunto un film sulle superstizioni dei paesi dell’Italia meridionale. Atti e la Dowling potrebbero mettersi d’accordo e fondere i loro progetti: quale migliore inizio per una giovane attrice che conta di affrontare anche lei la produzione?
Doris dice di sì, dice che rimasticherà meglio le sue idee, ne parlerà con qualcuno, anche se molti l’hanno sconsigliata di affrontare un film sulle superstizioni, considerato che ci troviamo in un paese superstizioso fino all’eccesso, un paese che potrebbe anche non gradire un film siffatto. L’attrice non sa darmi torto e, per scongiurare un pericolo che potrebbe appena sfiorare i suoi progetti, prudentemente tocca legno, come fanno gli americani quando sono superstiziosi.
S’è fatto tardi: abbiamo parlato per oltre due ore di cinema, di letteratura, di superstizioni, di musica, dell’Italia. Impregnata com’è delle abitudini romane, Doris Dowling non può rinunciare alla consueta passeggiatina per Via Veneto, dove a quest’ora la crema dell’arte e della cultura prende d’assalto i tavolini del caffè per godersi il passaggio delle belle donne e l’arietta fresca del ponentino. Andiamo insieme verso Via Veneto e, personalmente, ne sono fiero, sicuro che qualche amico creperà di rabbia vedendomi a passeggio con una donna di classe, una bella donna americana. Anche questa è una soddisfazione…
Italo Dragosei
Volevo già chiedertelo: Constance è la donna amata da Pavese, vero?
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Sì.
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