
Milano, Settembre 1931
Ormai è cosa certa: l’industria americana sta attraversando una crisi che minaccia di farsi sempre più grave. Il periodo d’oro della produzione newyorkese e californiana è al tramonto, e molte ombre sono già discese a turbare l’animo di tutta quella vasta moltitudine di gente — dai grandi finanziatori alle umili comparse — che di là dall’Oceano vive di questa modernissima industria. Dopo gli anni delle vacche grasse, si avvicinano quelli delle vacche magre. I segni sono evidenti: le case americane non riescono più a smaltire la loro produzione filmistica; spesso i film si vendono a condizioni svantaggiose; qualche « studio » ha già calato le bande e altri minacciano di fare altrettanto; i valori cinematografici, che nella bilancia commerciale degli Stati Uniti hanno una importanza considerevole, diminuiscono continuamente alla Borsa di Wall Street; e il pubblico americano, infine, comincia a dimostrare in modo preoccupante come sia affievolito il suo entusiasmo. Si aggiunga a tutto questo che anche all’Estero le Case americane, le quali negli ultimi anni avevano invaso il mercato internazionale fino alla saturazione, cominciano a incontrare sempre maggiori difficoltà nel commercio dei loro film, sia per ragioni economiche, sia per la seria concorrenza che cominciano ad esercitare le Case di produzione straniere.
Quali sono le cause di questo cataclisma che si è abbattuto su una delle più floride branche dell’industria americana? I più autorevoli competenti di oltre oceano assicurano che la causa principale risiede nel fatto di aver voluto insistere troppo nel film parlato al cento per cento, senza aver saputo prevedere che il pubblico, dopo il primo impulso di curiosità per ciò che costituiva, diciamo così, la novità tecnica, si sarebbe ben presto stancato di un tal genere di produzione troppo affine al teatro e che, oltre tutto, presenta lo svantaggio di non poter essere introdotto nei paesi che parlano un’altra lingua. È senza dubbio, questo, il motivo predominante del malessere che ha colpito l’industria cinematografica americana; ma altri ve ne sono, fra i quali la deficiente qualità dei soggetti, le eccessive pretese di certe « stelle » e, infine, la crisi economica generale, la quale ha colpito certi strati della popolazione americana in misura assai più profonda di quanto ancora non si creda qui da noi in Europa.
I produttori di New York e di Hollywood sono preoccupatissimi; come sono del resto preoccupate le stesse autorità governative in considerazione sopratutto della importanza che i valori cinematografici rappresentano nel quadro dell’economia nazionale. Gli industriali americani sono abituati agli alti e bassi della fortuna ed è certo che, intraprendenti come sono, tenteranno in qualche modo di correre ai ripari, Ma, intanto, le industrie europee, che son già così ben avviate, non potrebbero approfittare di questo periodo di crisi e di disorientamento che attraversa la produzione di oltre Oceano? Ecco la conclusione a cui volevamo pervenire. In Francia qualche giornale ha già dato l’allarme incitando con nobili accenti di patriottismo l’industria nazionale ad approfittare della buona occasione per intensificare e migliorare la propria produzione; in modo da imporla più largamente anche sui mercati esteri.
Che facciamo noi, in Italia? Non sarebbe il caso di fare lo stesso ragionamento e di esercitare tutti gli sforzi possibili perché anche la giovane cinematografia italiana, che ha già dato così belle prove del suo valore e delle sue grandi possibilità, tragga il massimo vantaggio da questa favorevole situazione?
L’industria nazionale del film ha dinnanzi a sé una ottima occasione per dimostrare la sua maturità e la sensibilità dei suoi dirigenti. All’opera, dunque, con l’augurio che il successo coroni la bella battaglia.
A questo punto viene spontanea una riflessione: quale deve essere cioè la via da seguire per non cadere negli errori che sono stati esiziali per l’industria cinematografica americana? Secondo alcuni critici, la crisi del cinematografo non sarebbe tanto commerciale quanto spirituale. In altre parole lo spettacolo filmistico languirebbe, non solo per le generali condizioni economiche, ma anche, e sopratutto, per un impoverimento della fantasia creatrice. Il Cinema si sarebbe esaurito per non aver saputo uscire dallo schema romantico ch’era stato, un tempo, il prediletto dei piccoli borghesi, e per essere rimasto troppo a lungo aderente alla formula del vecchio dramma a tre: lui, lei e l’altro. In fondo, la stessa causa della crisi del teatro.
Purtroppo il cinema è, ancora, in quasi tutti i paesi del mondo, troppo legato ai decrepiti schemi della tradizione teatrale; e non si vede davvero come e quando riuscirà del tutto e sbarazzarsene per lanciarsi coraggiosamente fuori della vecchia cornice tridimensionale, ebbro di musica e di colore, nell’infinito dello spazio.
Fra i diversi critici che credono prossima la liberazione, e quindi l’avviamento su nuove rotaie, troviamo in Italia Eugenio Giovannetti.
«Di fronte ad alcuni spettacoli — egli scrive — prettamente teatrali del nuovo cinema, come « Il re del jazz », non abbiamo tutti avuto la sensazione di un originale arricchimento della scena, o, in altri termini, di una teatralità assolutamente nuova nel suo fantasioso dinamismo? Non abbiamo tutti sentito che, lungi dall’essere costretto, nella vecchia cornice teatrale, il cinema sonoro l’ha spezzata per sempre: e che il grande spettacolo musicale di domani non sarà più teatrale ma cinematografico, appunto perché il cinema sonoro significa una teatralità nuova, infinitamente più libera dell’antica?
«Il Cinema tende ogni giorno più ad uscire dalla immobilità dello « studio » e dalla convenzionalità del teatro per affrontare la realtà naturale nel suo panteismo più gioioso. Oggi, il grande direttore non è più quello che ricostruisce la Polinesia nello « studio », ma quello che porta le macchine da presa ad una senso luminoso della musica nella autentica Polinesia. Il Cinema si mette oggi in moto per diventare, « sub-divo », il poeta sintetico dei cieli, dei mari e dei cuori. Il Cinema sonoro tenta, ogni giorno più deciso, la grande sinfonia panica ».
In sintesi, Giovannetti ha tratteggiato i compiti che attendono il cinema. Su questa strada il cinema camminerà e raggiungerà le sue mete se sarà guidato da uomini che alle qualità tecniche sapranno unire la mentalità di un artista e l’anima di un poeta.
I mezzi meccanici non difettano, ma attendono la genialità creatrice dell’uomo che sappia servirsene convenientemente per dar vita all’opera d’arte. La scienza ha, compiuto il miracolo di far parlare le ombre; tocca ora agli artisti ed ai poeti di dar loro un’anima che sappia cantare la gioia ed il dolore, per le vaste strade del mondo sotto l’arco luminoso dei cieli.
Ed il temperamento, la genialità degli italiani, ci sembrano particolarmente adatti per assolvere degnamente. il compito di far rivivere la stanca cinematografia mondiale.
Fra gli scrittori cinematografici che si occupano della decadenza del film, troviamo anche Pino della Rosandra, il quale scrive:
«Molti ancora non vogliono comprendere che la folla è da un pezzo già stufa di commedie noiose, di drammi insipidi e irreali, conditi in tutte le salse senza alcun rispetto dell’arte. E le sale, di naturale conseguenza, vanno spopolandosi sempre più. Talora con lo stamburamento di una grande réclame, si raggiunge un successo di folle e di cassetta, ma esso è effimero, né si ripete, se l’opera non ha risposto alle delicate esigenze del pubblico.
Da per tutto si lamenta la mancanza di soggetti cinematografici, di buoni scenari. Perché? Perché si produce troppo in fretta e, di conseguenza, si produce male, anche se talvolta il soggetto è buono. In tal modo il pubblico si disgusta e non apprezza quello che gli si vuol far apparire come arte.
Si cerchino soggetti più umani, più reali, anche se fantastici, più consoni alla vita d’oggi: si tenga conto di quelli che sono i problemi più vivi della umanità: si pensi anche che il cinematografo è un’arma potente di civiltà e un mezzo educativo di primo ordine ».
Scendendo dalla situazione generale, al caso particolare dell’Italia, della Rosandra soggiunge: :
«Se però l’Italia, continuerà a produrre un numero insignificante di films in confronto al bisogno nazionale, lasciando che il suo mercato rimanga invaso dalla produzione americana, spesso troppo frivola e insipida, ad onta dei vari capolavori che ha saputo creare, l’influenza benefica nei riguardi etici del cinematografo resterà per noi un pio desiderio.
L’industrialismo americano non si piegherà ai nostri desideri e continuerà a presentarci i films che vorrà, senza tener conto della nostra mentalità, dei nostri costumi, della nostra nuova vita sociale. Anzi, lo si sa da un pezzo, la cinematografia americana è tutta una fine propaganda della civiltà nuova d’oltre oceano. Ed è necessario che noi ci americanizziamo? No, affatto ».
Dopo aver illustrate le grandi possibilità che si offrono per la cinematografia italiana, della Rosandra, così conclude:
«Non è dunque indifferente per noi, Italiani, avere o non avere una produzione cinematografica nazionale. Produrre numerosi e buoni films artistici che possano trovar benevola accoglienza all’estero: ecco quello che dobbiamo fare, senza lasciarci adombrare dal vecchio o dal nuovo divismo, oppure dalle meravigliose apparenze della forma pura.
«Conquistati i nostri mercati, potremo diffondere poi le nostre opere d’arte nel mondo, sicuri che esse, se ben fatte, troveranno ovunque plauso e ammirazione.
«Il Governo, che ha già posto in bilancio dei notevoli premi di incoraggiamento da assegnarsi ai produttori di buoni films, potrà aiutare successivamente la muova produzione anche diminuendo o magari abolendo la tassa governativa sugli spettacoli cinematografici; ma il resto deve esser fatto dai nuovi industriali del cinema».
Crisi o non crisi, un fatto è indiscutibile: che il pubblico accorre sempre volentieri ed affolla le sale di proiezione quando gli si presentano dei film che siano opere d’arte. Questo devono tenere presente gli industriali della pellicola. Il resto è oziosa discussione e non leva un ragno
dal buco.