
Un amico mi ha confidato: « Ho trascorso un anno di noia: i dodici mesi più lunghi della mia vita. Mi sono dato da fare per empirli con libri di mille pagine, con partite a poker e a ramino, con solitari napoleonici. Certe sere, mi coricavo con gli orecchi stanchi dopo aver ascoltato tutte le stazioni proibite delle reti radiofoniche internazionali. Eppure non sapevo vincere una grande melanconia. I romanzi non m’avvincevano, perfino gli intrecci di Wallace mi stuccavano, Le partite a carte non davano nessun brivido. I solitari? Perché interrogare la sorte? Quando un solitario riusciva era la gioia d’un minuto. La radio, finalmente, pareva dire sempre le stesse parole: « Nel settore dell’VIII Armata… il presidente Roosevelt ha dichiarato ad una conferenza stampa… Settore del Pacifico… Come odiavo il Pacifico! ».
Il mio amico confessa d’avere subìto più volte l’assalto d’un desiderio. Non si tratta d’un desiderio di cui si debba arrossire. È lo stesso che ha colto per tanti mesi tutti coloro che per eccessiva prudenza e per qualche ragionevole timore sono vissuti nascosti. I nascondigli variavano: da quello posto nel fitto della città, all’altro difeso dalla solitudine dei monti. Per un anno, la vita di centinaia di migliaia di italiani smaniosi di scappare ad una qualsiasi cattura ha conosciuto la monotonia delle avventure. Gente che passava i giorni tra via Veneto ed il bar della Quirinetta si è trovata a vivere in una casa di pastori di cui non capiva neanche il dialetto. Il mondo appariva lontano, o addirittura ingoiato in una sconfinata noia. Si davano tuttavia momenti d’insofferenza cha si manifestavano con l’improvviso assalto del desiderio che si diceva. Veniva la voglia di un’innocente sensazione: quella che dà una buia sala cinematografica quando lo spettatore vi entra a spettacolo incominciato.
« Sì », dice il mio amico rimasto nascosto un anno, « desideravo il cinema senza riserve, ma non che desiderassi vedere Alida Valli o Nazzari. Anzi non avevo alcuna voglia di vedere nessuno. Nemmeno Greta Garbo o Charlot mi avrebbero particolarmente commosso. Desideravo soltanto riprendere un’abitudine. (Chi non ha desiderato la pena dell’autobus affollato?). Avevo voglia di pagare il biglietto, di farmi avanti coi gomiti, d’entrare nella sala con occhi abbacinati dal chiarore dello schermo, Sarei stato felice di sedermi in una sala affollata. davanti ad uno schermo dove si proiettassero soltanto fasci di luce ».
Il cinematografo svaniva nella memoria. Le statistiche diranno quale è stata l’affluenza nelle sale cinematografiche nel periodo di occupazione tedesca. Intanto, si racconta di alcune che venivano disertate per prudenza. La sala cinematografica a molti appariva come una trappola buona per le pattuglie che rastrellavano i cittadini, e si sa di militi che, entrati senza alcun scopo, anzi in libera uscita, vedevano farsi il vuoto intorno. La luce si riaccendeva, le guardie repubblicane capitate soltanto per l’allettamento d’uno spettacolo gratuito, si trovavano sole, appoggiate ad una colonna con alle spalle l’occhio della macchina da proiezione, anch’esse fuggivano colte da un’ossessionante paura.
ll cinema appariva come un’arte finita, appartenente all’archeologia. Accadeva che qualcuno si desse a rievocazioni patetiche. Era come abbandonarsi ad un gioco fanciullesco. Si buttavano avanti i nomi di film famosi, s’accendevano gare accanite; si diceva: « Strettamente confidenziale! ». Si rispondeva: « Proibito », Una signorina vantava con una certa saccenteria: « Ragazze in uniforme ». Si risaliva verso l’infanzia della cinematografia: da « Femmine folli » di Stroheim a «Sperduti nel buio » di Martoglio.
S’arrivava a conflitti d’estetica. S’accendevano contrasti di gusto. Uno diceva: « Alleluia » ed un altro, pronto, rispondeva: «Io sono per il Fornaretto di Venezia ».
Ci sono scapoli che si consolano con un nome, Dicono: « Margherita, Susanna », e per un momento ritornano giovani. Dopo, però, segue la tristezza del vigore perduto. Gli amanti del cinema, costretti alla vita solitaria, dicevano: « Accadde una notte », « Alba tragica » con un uguale passaggio dalla compiacenza allo sconforto, come se le pellicole rievocate fossero state incenerite e tutte le macchine da proiezione di questo mondo distrutte. Non supponevano che in quello stesso momento un loro vecchio compagno di caffè in qualche cinema di Bari o di Napoli sbadigliava davanti all’ultimo film di Rosalind Russell. O davanti ad una dissolvenza d’un bacio Lilia Silvi-Besozzi.
Il cinema moriva. Quando si udì alla radio che l’aereo che trasportava Leslie Howard era precipitato nel golfo di Guascogna, parve il segno d’una fine, quasi che insieme all’apparecchio le acque dell’Atlantico che in quel punto della costa francese l’immaginazione dipingeva aride, avessero fatto sparire centinaia di rulli di pellicola. Addio « Primula rossa », addio civiltà tante volte fotografata. La si sentiva in pericolo.
Quando gli animi erano meno inclini a tristi considerazioni sul destino del mondo s’accendevano polemiche sull’avvenire del film. Allora l’avvenire appariva simile a una lastra non ancora impressionata. E poiché lo si vedeva come un tempo in cui tutto non poteva essere che giusto, ottimo, esemplare, si aveva quasi la pretesa di abolire tutto il passato. Pochi attori italiani si salvavano, Se qualcuno obbiettava: «Ma Y è un ottimo antifascista », qualcuno rispondeva: « Mi dispiace, avrei preferito che appartenesse alla Brigata Nera », la lista degli attori e delle attrici antifascisti appariva troppo lunga. Quando arrivò la notizia, risultata poi fa!sa, che un noto attore del nostro cinema comandava una banda partigiana, si disse con sconforto: « È finita». Si tentava un’epurazione cinematografica in cui i principii morali e politici erano spesso in contrasto con quelli estetici.
E insieme al caffè, alle sigarette tutti giuravano che ogni americano avrebbe portato dentro il suo sacco un rotolo di pellicole, arrivate fresche da Hollywood, Proibita da qualche anno sui nostri schermi, la cinematografia americana pareva assente da secoli, sicché il suo ritorno sarebbe stato accompagnato da maraviglia. Si aspettavano nuovi attori, nuova tecnica. Clark Gable e Mirna Loy apparivano come attori buoni per i nostri nonni. L’annunzio radiofonico d’un film di Bette Davis faceva esclamare: « Ancora viva? », Magari chi aveva parlato era una signora che poteva essere mamma della capricciosa interprete di « Schiavo d’amore ».
Si diceva: « Nel sud, a Napoli, a Palermo, ci sono già film americani ». Come dire: « C’è il pane bianco. L’olio a trenta lire. La zuppa condensata ». Non si metteva in dubbio che nella cinematografia non ci fosse stata una grande rivoluzione. Non si ammettevano film che non fossero colorati, a rilievo, con l’aiuto del profumo. Si aspettavano nuovi attori, tutti giganteschi, sceneggiature laboriose ed originali da farci apparire ingenua quella di « Palcoscenico ». Invece, svanito il pericolo, lasciato il nascondiglio della cantina in via Panama o del bosco sugli Appennini, tutto dice all’ex prigioniero volontario che il mondo non cambia da oggi a domani. I nuovi film? Certo, « La commedia umana » è un amabile film ma sa di propaganda, « Mia sorella Evelina » è una storia consunta ed ha soltanto il merito di farci rivedere volti prediletti. « Appuntamento d’amore » è un prodotto dove bravura ed intelligenza commerciale sono di pari peso, è finalmente, come fosse emersa dalle onde del golfo di Biscaglia, ecco la « primula rossa », anzi la « primula Smith ». Il cinematografo non è andato di corsa, si capisce; anche ad Hollywood c’è altro per aria.
Arrigo Benedetti
Roma, ottobre 1944
Qui, però, nessuno scommetterebbe sulla durata della pandemia: il virus è sconosciuto; l’avevamo dato per morto e purtroppo non è stato così. Lo streaming visibile da casa rischia davvero di far fuori le sale. Che sconforto!
"Mi piace""Mi piace"
Il cinema non morirà mai, per le sale non perdo la speranza. Il cinema in televisione, meno ancora dal computer non sarà mai la stessa cosa, soprattutto per quelli che siamo abituati alle sale. Ne ho visto tante: chi vivrà vedrà!
"Mi piace""Mi piace"