
A noi che, mossi dal desiderio difensivo di conservare intatte tutte le illusioni, abbiamo sempre evitato con attenta cura di sondare i misteri gaudiosi e dolorosi della nascita di un film, doveva toccare in ironica sorte il destino di descrivere le fasi della morte.
Forse lo spettatore distratto, che si accontenta di sapere se negli ultimi duecento metri di pellicola Oretta Fiume sposerà Roberto Villa, non ha mai riflettuto su quanto di magico è racchiuso in un film, questo costoso giocattolo destinato ai bimbi dai dieci ai novantasei anni.
Breve ed intensa è la carriera di un film. Appena sfornato dalle case di stampa, è imprigionato di fretta in tonde scatole di latta che rapidissimi fattori motorizzati portano alla stazione. « Vicende d’amore e di morte » si sparpagliano in tutte le direzioni, attese con ansia in babeliche città e minuscoli paesi.
Ha inizio l’esistenza del film. E il debutto di vita è sempre clamoroso. Nei primissimi giorni, austeri critici gli dedicano prose entusiastiche o severe, gli spettatori ne discutono con calore, la palpitazione del cuore di intere legioni di romantici subisce vertiginosi acceleramenti. Poi, gradualmente, il clamore si spegne, e la pellicola prosegue la sua carriera spettacolare nella penombra delle seconde, delle quarte, delle dodicesime visioni. A mano a mano che invecchia, le attenzioni che ad essa vengono dedicate diminuiscono. Tutti possono vederla con una lira e un soldo, gli operatori la pongono fra gli ingranaggi della macchina da proiezione senza troppi riguardi, indifferenti se qualche brandello si perderà lungo il cammino.

A tramonto inoltrato, il film è oltraggiato da mille rigature, e le scene d’amore e d’avventura si svolgono tutte sotto una strana fittissima pioggia. Qualche brano è andato distrutto, la storia, per le troppe amputazioni, comincia a diventare ermetica, incomprensibile.
L’ora della morte del film si avvicina, inesorabile. I noleggiatori prendono a considerarlo un peso morto dei loro magazzini: e quando riescono, a prezzo di imbonimenti faticosi, ad appiopparlo per trenta lire a un esercente poverissimo, traggono sospiri di sollievo.
E giunge anche fatale l’ora triste del commiato, quando nessuno, proprio più nessuno, vuol saperne della decrepita pellicola che le macchine di proiezione hanno macinato durante cinque o sei anni. È questo il momento in cui il costoso nastro di celluloide intorno al quale, a suo tempo tante speranze artistiche e commerciali si sono accese, viene posto in vendita all’incanto, a un tanto il chilo, come le patate.

E qui ha inizio la pittoresca morte e trasformazione del film. Dalla pellicola nella quale i produttori, alcuni anni prima, hanno investito dell’oro, viene ricavato l’argento. Ed è una nascita lenta, faticosa, sorprendente, che continua le tradizioni di magia che caratterizzano tutte le cose del cinematografo.
Fino a ieri la lavorazione delle vecchie copie veniva eseguita con mezzi piuttosto empirici, che non erano sempre in grado di garantire il totale ricupero del prezioso metallo che è imprigionato nell’emulsione spalmata sul supporto in celluloide. Oggi, in piena battaglia autarchica, anche questo settore è stato oggetto di attenzione da parte di due industriali, Gino Protti e Carlo Genesi, i quali ad esso hanno dedicato moltissimi studi, riuscendo a risolvere felicemente il problema. Sulle pendici di Monte Mario, in via Trionfale, 144, è sorto da poco tempo un attrezzatissimo laboratorio nel quale affluiscono i vecchi film per la definitiva resa dei conti.

Ancora una volta, l’ultima, le bobine vengono « montate » sulla macchina. Questa volta, però non si tratta più di proiettarle: questa volta il nastro è obbligato con la forza a restituire il suo cospicuo patrimonio argentifero. La pellicola transita lentamente, in una specie di gimcana di rulli, nelle varie vasche dell’impianto; ed al contatto piuttosto energico dei bagni dissolventi, le storie di amore e d’avventura svaporano co- me per incanto. Alida Valli, Amedeo Nazzari, Vittorio De Sica, Umberto Melnati, Paola Barbara, Silvia Manto, impallidiscono appena tuffati negli acidi, scompaiono nel nulla…

La macchina miracolosa che Gino Protti e Carlo Genesi hanno montato nel loro laboratorio romano è la prima del genere che funziona in Italia. Progettata con meticolosa genialità consente il recupero di alte percentuali d’argento e la fornitura alle industrie belliche di notevoli quantitativi di celluloide. È la macchina che procede freddamente all’esecuzione capitale dei vecchi film.
La macchina è stata ideata ed eseguita dal capotecnico Astorri Achille della Tecnostampa del Comm. Vincenzo Genesi.
Roma, Novembre 1940