Discendente da una di quelle stirpi di potenti realizzatori, che nel secolo scorso resero celebre il nome d’Italia in ogni parte del mondo, ove vi fossero terre nuove da dissodare o civiltà sorgenti da sviluppare, e che sopratutto in Egitto, seppero conquistarvi ricchezza e considerazione, Goffredo Alessandrini, nato una trentina di anni fa sulle rive del Nilo, si trova oggi ad essere qualcosa di più di una semplice promessa della cinematografia italiana, poiché l’ultima sua produzione « Don Bosco » lo pone di colpo fra i migliori registi nazionali.
Si trovano in lui riunite alla giovinezza, troppo sovente confusa con l’infantilismo, una seria preparazione tecnica e culturale ed un senso d’arte profondo, sincero, diremmo quasi naturale, indubbio retaggio delle bellezze che lo circondarono nei primi anni della sua vita, trascorsi parte nelle due grandi città egiziane, Alessandria e Cairo, parte nei quieti villaggi dell’alto Nilo.
L’aver vissuto alternativamente fra l’immobile calma secolare del villaggio arabo e la convulsa vita eteroclita delle due grandi città egiziane, crogiuoli ribollenti di umanità, deve aver allenato lo spirito d’osservazione dell’Alessandrini parallelamente alla facoltà d’assimilazione.
L’inevitabile conflitto che sempre sorge fra gli spiriti pratici e coloro che sono assetati di bellezza sorse ben presto fra Egli e suo Padre. Inviato dal genitore all’Università di Cambridge, per studiarvi ingegneria, Alessandrini vi si perfezionò negli sports, eccellendo nell’atletica leggera sì da conquistare in Italia, nel 1924 il titolo di campione nazionale nella corsa ad ostacoli. Ma le sue aspirazioni miravano ben più in alto. Dopo aver vagato per sei mesi con la squadra nazionale di atletica leggera nelle varie capitali europee, fu punto anch’egli un bel giorno dalla « tabe » cinematografica, conseguenza forse indiretta del suo dilettantismo fotografico, e trovò in Roma un gruppo di giovani, facente capo all’Augustus ed a Blasetti, la sua prima palestra.
Frattanto in un suo viaggio in Egitto, l’Alessandrini aveva riportato un interessantissimo documentario « Una giornata di lavoro sulla Diga di Nag-Hamdy », documentario che attrasse su di lui l’attenzione del compianto Pittaluga e che gli valse l’entrata nella « Cines ».
Scenografo prima, sceneggiatore poi, arrivò sino al rifacimento di quel famoso film che batté il record degli incassi dei films italiani, crediamo sino ad oggi insuperato, che rivelò al pubblico le possibilità di Elsa Merlini quale attrice cinematografica e che si chiama « La segretaria Privata ».
Se in tale occasione l’Alessandrini non potette manifestare le sue qualità creatrici, trattandosi di un rifacimento, diede però l’esatta misura delle sue spiccate qualità tecniche, poiché nessuno seppe ravvivare come lui un rifacimento di film ‘straniero, fra i tanti che vi si cimentarono poi.
Per la Metro Goldwing Mayer l’Alessandrini partì per Hollywood, ove diresse per tre mesi, in quella casa l’edizione italiana, o meglio la sincronizzazione italiana dei films destinati al nostro paese. Passò quindi nel reparto sceneggiatura; qui giova notare incidentalmente che Alessandrini conosce alla perfezione l’inglese, e fu « l’esperto egiziano » per il film « Una notte al Cairo » interpretato da Ramon Novarro su soggetto di Vicki Baum.
Di ritorno in Italia, poichè gli scadeva il permesso di soggiorno, diresse, dopo averlo sceneggiato con Aldo Vergano, un soggetto di Umberto Barbaro, « Seconda B » che, premiato a Venezia, passò senza infamia e senza lode su tutti gli schermi d’Italia. Forse il soggetto risentiva dello stesso ambiente di collegio femminile che qualche tempo prima aveva furoreggiato su gli schermi di tutto il mondo. Ad ogni modo « Seconda B » fu un’azione molto onesta, ma ancora non rivelò il grande regista. Si era nel campo delle promesse.
Ci volle « Don Bosco » per dare la sensazione completa delle possibilità del giovane regista. Malgrado un argomento non molto suggestivo per la massa del pubblico, malgrado le inevitabili esigenze imposte dal soggetto stesso e la ferrea sorveglianza, stavamo per scrivere ingerenza, delle autorità ecclesiastiche, Alessandrini ha saputo creare un’opera che potrebbe essere sottoscritta decorosamente dalle più alte firme della regia internazionale.
Per riassumere: preparazione tecnica completa, base culturale di prim’ordine, conoscenza di lingue e conoscenza vasta del mondo, raffinatezza artistica innata, e, quel che più conta, trent’anni soltanto! Ecco ciò che si può intendere per « giovane regista », cioè qualcosa di molto diverso dalla improvvisazioni di « giovani » che di tutto ciò non hanno a proprio vantaggio altro che la fede di nascita, e una buona dose di presunzione.
Abbiamo saputo che l’Alessandrini ben presto si cimenterà nella direzione di importanti soggetti derivati da notissime commedie del repertorio teatrale italiano: Lohengrin e I fratelli Castiglioni; attendiamo di vedere riconfermare l’ottima opinione che ha suscitato « Don Bosco » e la fiducia che la cinematografia nazionale ha riposto nel novissimo direttore.
Ciso Moratti
Milano, Giugno 1935