
Nel settembre del 1935, mi trovavo a Berlino, sul punto di venire in Italia a realizzare « Lo Squadrone Bianco ».
Ero uscito fresco fresco da un’avventura piuttosto pericolosa — il film di Gigli — e pensavo con gioia al periodo di lavoro che m’aspettava a Roma.
Mi vedevo già negli Stabilimenti della Cines, tra gli amici del tempo in cui facevo le mie prime armi, e mi sentivo pieno di nuovi entusiasmi, spinto verso il successo da tutto un insieme di circostanze, che si potevano riassumere con una magica parola, esclusa dalla mia attività di regista in quei mesi trascorsi a Berlino: la calma.
Improvvisamente, tutto prese un altro andamento. Un telegramma mi annunciava che non si sarebbe realizzato più « Lo Squadrone Bianco », ma « La Madonnina dei vagoni-letto ».
Corsi a Parigi.
Tutto era di nuovo cambiato. Non più «La Madonnina dei vagoni-letto », ma «La gondola delle chimere ». D’immutato era rimasto soltanto il nome dell’autore: Maurizio Dekobra. Il 10 settembre, si sarebbe dovuto iniziare il film a Venezia, e la mia conversazione con l’avvocato Montanara, rappresentante la « Tiberia Film », avveniva esattamente il 2 settembre.
«Ma com’è possibile?… Soltanto per la sceneggiatura occorrerebbe un mese! Il romanzo di Dekobra ha bisogno di una riduzione accurata… Io devo ritornare a Berlino… E, anche riuscendo a compiere il miracolo di mettere a posto il soggetto in una settimana, il tempo per organizzare il film, dove lo trovo? ». « Volere è potere: alea jacta est ».
Con questi due proverbi e altri argomenti di forza maggiore, primo fra tutti quello di una assoluta impossibilità a tornare indietro per contratti ormai firmati che impegnavano la serietà della società italiana, l’avvocato Montanara mi mise nella condizione di dover accettare l’ardua e quasi impossibile impresa.
Le difficoltà hanno sempre esercitato una inspiegabile attrazione su di me. Nel caso della « Gondola delle chimere », c’era, poi, un fatto che mi seduceva in modo particolare: quello di cogliere l’occasione per dimostrare all’estero, con un film di carattere internazionale, che in Italia esiste un’attrezzatura tecnica altrettanto perfetta, se non così grandiosa, quanto quella esistente in altri paesi.
Alle due del pomeriggio dello stesso giorno, ero dal Dekobra, il quale stava per partire per Londra. Io, invece, volevo condurlo a Berlino.
« Mais, mon cher, c’est impossible… ma conférence est annoncée… ». Come si vede, l’impresa di farlo salire sul Nord-Express non era facile. Ma la disperazione offre talvolta argomenti decisivi. Alle 15.30 Dekobra ed io eravamo seduti in treno, e tracciavamo le prime linee della sceneggiatura. A Berlino, in cinque giorni (giorni di 18 ore di lavoro), la « Gondola delle chimere » passò dalle 400 pagine del libro ai 100 fogli dattilografati del copione.
Alle dieci di sera del quinto giorno, Dekobra, che è l’uomo più organizzato di questo mondo, mi faceva gli auguri, per la realizzazione del film, dal finestrino di una cabina del Nord-Express, alla stazione di Zolotische Garten.
Così, con lo stesso stile di un personaggio d’un romanzo di Dekobra, cominciavo l’avventura della « Gondola delle chimere ».
Il giorno dopo ero a Roma, e una settimana dopo giungevo in volo a Venezia per ricevere gl’interpreti francesi e cominciare a girare. Arriva Marcelle Chantal: vuol farmi vedere subito i suoi vestiti per darmi la prova della scrupolosità d’interprete:
« Ca c’est tout à fait la « Madonne des sleepings », n’est ce pas?
«Ouì, Madame… Seulement nous tournons « La Gondole aux chimères ». A Parigi, avevano semplicemente dimenticato d’avvertirla che il soggetto era cambiato.
Si arriva al momento di girare: tutto è pronto, anche il sole. Ma non si gira. L’apparecchio di registrazione sonora, che doveva arrivare dalla Francia, non è arrivato. Telegrammi, telefonate a Parigi: l’apparecchio arriva. Gioia di tutti: « si gira… si gira… ». No. Non si gira ancora. L’apparecchio non funziona. Ritelegrammi, ritelefonate a Parigi, a Berlino, a Vienna! È destino che questo film continui ad avere lo stile cosmopolita di Dekobra. Per colmo di dispetto, un sole magnifico continua ad illuminare, inutilmente per noi, i più belli angoli di Venezia. Quanto lavoro si sarebbe potuto già fare!
Alla fine ci facciamo mandare un « carro sonoro » dalla Cines, dato che tutte le valigie sonore sono impegnate. Il carro arriva. Con pene infinite, lo trasportiamo su un barcone. Eureka! Possiamo incominciare a lavorare. Ma, al primo ponte, arresto: il carro non passa sotto la volta. Bisogna aspettare la bassa marea. Da quel momento, la lavorazione è subordinata al flusso e al riflusso della laguna, con grande gioia degli astanti, che ad ogni ponte rinnovano calorose scommesse:
« Passa… non passa… ».
Vien voglia di mettersi a sfogliare una margherita! Come Dio vuole, arriviamo al primo giro di manovella. « Pronti… Via… AIt! ». Che è successo? Il sole se n’è andato.
Torna l’indomani, in compagnia del vento. Tutto comincia ad oscillare paurosamente e, tra nuvola e nuvola, tra flusso e riflusso, tra libeccio e ponentino, si cominciano a girare le prime scene davanti ad un pubblico così entusiasta che, se non ci fosse stata di mezzo l’acqua, sarebbe salito fin sulla gondola di Marcelle Chantal.
Roma… Roma… Se Dio vuole, non avremo più da lottare contro gli elementi. Terminate le difficoltà, si potrà finalmente lavorare con tranquillità. Apro il giornale: lo Stabilimento Cines in preda al fuoco. I mezzi tecnici sono ridotti al minimo: nell’incendio sono andate perdute lampade, cabine sonore, carrelli, scene, in una parola tutti o quasi tutti gli attrezzi da lavoro. Per fortuna rimane la ferma volontà degl’italiani, che ha ragione di tutte queste gravi avversità.
Però… dov’è la calma sognata a Berlino?
Ma non c’è tempo per rimpiangere: bisogna lavorare, risolvere seduta stante cento problemi ogni giorno, vincere tutti gli ostacoli, anche quelli insormontabili.
Il compito di tradurre in immagini il romanzo di Dekobra, si rivela sempre più arduo. Talvolta la materia resiste, i personaggi perdono, nell’azione, un poco della loro consistenza; la narrazione, priva del valido ausilio che soccorre il romanziere con la possibilità di descrivere non comuni stati d’animo, si rende difficile.
Si deve spesso arrestarsi, tornare sul già fatto, rivedere, aggiungere, correggere. Non c’è tempo. Bisogna anzi accelerare il ritmo: gl’interpreti debbono tornare a Parigi per impegni già presi. La lavorazione diventa una corsa forzata verso la fine. In questa atmosfera febbrile si girano le scene più difficili, quelle che nascondono un’insidia in ogni immagine. S’impone il calcolo esatto, quasi direi fotogramma per fotogramma, delle reazioni del pubblico. Ma non c’è tempo. Non c’è più tempo per nulla. Bisogna ancora accelerare il ritmo. Si è chiesta una proroga a Parigi per gli attori, si spera di ottenerla. Mancano 5 giorni alla data fissata per il loro ritorno in Francia. Forse si riuscirà. Improvvisamente un telegramma interrompe questo ritmo fantastico: gl’interpreti sono richiamati. Tutto si arresta.
Tornano un mese dopo, con le ore contate. Io mi vedo trasformato di colpo in un portiere d’albergo che deve tenere conto delle partenze e degli arrivi.
Sono costretto a girare gli ultimi metri, quasi ‘direi, tra un Express e l’altro, Riesco a non far perdere l’ultimo treno a Marcelle Chantal. Ho terminato con qualche contro-figura, ma ho terminato.
Ed ecco finalmente un’oasi di pace: il montaggio del film. Piccola oasi: Parigi reclama d’urgenza la copia-campione. Supero anche questa difficoltà e passo al lavoro più sottile: la sovrapposizione della musica al parlato, la messa a punto del film.
Mi preparo ad accingermi a questo lavoro. Non è possibile: una parte del negativo, inviata a Parigi prima dell’applicazione delle sanzioni (1), non può rientrare in Italia, date le difficoltà del momento internazionale. O fare la fusione del parlato e della musica a Parigi, o farla a Roma con mezzi di fortuna. Tanto peggio se gli ultimi ritocchi saranno praticamente impossibili: voglio che il film, iniziato in Italia, sia terminato in Italia.
La dimostrazione ch’io m’ero proposto di dare all’estero sulle possibilità tecniche dei nostri stabilimenti, dev’essere completamente raggiunta. Per questo avevo affrontato il rischio d’un film difficile, da realizzare in condizioni ancora più difficili; per questo, avevo sacrificato tutte le mie aspirazioni personali.
Se lo scopo sarà raggiunto e la « Gondola delle chimere » avrà all’estero il successo ch’io spero, lo dovrò anche alla volonterosità, all’intelligenza, all’abnegazione di tutti coloro, nessuno escluso, che hanno diviso la mia fatica e che rappresentano in questo film, la Cinematografia italiana.
Augusto Genina
Roma, Marzo 1936
- L’11 ottobre 1935 la Società delle Nazioni delibera le sanzioni contro l’Italia colpevole di avere aggredito l’Etiopia. Niente più armi, niente crediti, niente materie prime, non si importano più merci italiane. 18 novembre 1935: le sanzioni all’Italia.